
“Le sette morti di Evelyn Hardcastle” è il romanzo d’esordio del giornalista inglese Stuart Turton.
Il lettore viene completamente travolto dalla storia raccontata e si ritrova a Blackheath House, un’antica dimora inglese, decadente per via di anni di abbandono e trascuratezza, e riaperta in occasione di un ballo.
A differenza dei libri suoi consimili, il delitto, così come il suo esecutore, sono solo una parte della struttura narrativa.
Il particolare protagonista è circondato da una serie di personaggi altrettanto peculiari: uno strano Medico della peste (per via della maschera che porta) che sorveglia e manovra i fili dall’esterno della vicenda che prenderà piede a Blackheath House, pur con alcune restrizioni; un perfido e terrificante lacchè; gli ospiti del ballo che la famiglia Hardcastle ha invitato, tutti con dei segreti; niente e nessuno è ciò che sembra. L’enigma è intricato, la trama complessa. Ed è questo il tratto caratteristico del libro: quando la spiegazione sembra vicina, tutto si ribalta, scatta una trappola e si ricomincia di nuovo.
Avvincente e affascinante, questo romanzo ha una struttura contorta. La storia si snoda e si riavvolge attraverso intermezzi temporali, e viene narrata in prima persona dal protagonista, che si risveglia in situazioni impensabili per il lettore. La tensione è continua, e chi legge rimane in allerta durante la lettura di ogni pagina.
Bisogna prestare attenzione ai dettagli e seguire attentamente i dialoghi per capire appieno la risoluzione finale del delitto.
È una sfida al lettore, che viene risucchiato in un’atmosfera e in una serie di delitti che fa pensare a “Dieci piccoli indiani” di Agatha Christie.
Cinquecento pagine dense, a ritmo serrato, forse qualche piccola sbavatura, ma che si perdona facilmente.
In sintesi: da non perdere!
Delia Covato