“Da tempo poniamo e chiediamo attenzione sul salario dei braccianti agricoli. Lo abbiamo fatto rimarcando che la nostra agricoltura ha storicamente un portato salariale nettamente basso o, per meglio dire, molto inferiore di quello di altre realtà produttive e di altri territori. Ne sanno e ne vivono la realtà coloro che lavorano come bracciante nell’agricoltura nostrana”.
Salvatore Terranova, Segretario generale Flai Cgil Ragusa, torna a parlare dei braccianti e delle scarse remunerazioni che inducono spesso questa categoria a cercare nuove strade mettendo a rischio il settore. Di questo nessuno ne ha voluto e ne vuole prendere consapevolezza. Né le Istituzioni né le aziende medesime. Sarebbe meglio dire che hanno tutti fatto finta come se il problema non esistesse.
“Nel corso di questi anni – ribadisce il sindacalista -si è scelto di non considerare il problema evidenziato, pur sapendo che alla lunga il persistere di tale impostazione salariale avrebbe potuto portare con sé, come si poteva immaginare, il nascere di altri ulteriori problemi. Non solo ai braccianti, in quanto pagati pochissimo e pertanto spesso sfruttati e sottopagati, ma anche alle imprese, sorde al fatto che salari bassi in agricoltura avrebbero potuto determinare la tendenza al dimagrimento dello specifico mercato del lavoro agricolo. Nel senso che molti braccianti immigrati e non solo avrebbero potuto scegliere di andare via dal nostro territorio o di spostarsi in altri, sempre all’interno del nostro territorio, per loro più appetibili settori produttivi e dall’altro le aziende interessate possibilmente alle prese con una complicata difficoltà, quella di non riuscire a trovare forza-lavoro per l’agricoltura o che essa si rifiuti di lavorare nella nostra agricoltura.
Viene da chiedersi perché, già da ora, tantissimi immigrati, dopo tanti anni di residenza nei nostri territori, stanno decidendo di andare via, trasferendosi in altri territori o agricoltura ? Forse perché, anche se di poco, sono più appetibili, garantendo loro più reddito? E non solo gli immigrati fuggono o pensano di allontanarsi, ma anche braccianti nostrani, con cui quotidianamente ci confrontiamo, che ci comunicano, se ne avranno la opportunità, la intenzione di spostarsi per andare a lavorare in aziende extra-territoriali, abbandonando quella nella quale hanno lavorato per molti anni.
Questo è lo scenario che si sta configurando, che sempre più prenderà piede. Ce ne renderemo conto in tempi ragionevolmente breve, anche se qualcuno potrebbe cinicamente pensare che nei mesi a venire non avrà problemi di reclutamento di personale: forse immagina di supplire all’emigrazione o alla rinuncia dei lavoratori con la recluta di altro personale, facendo lavorare o sfruttando magari le persone in cerca di prima occupazione e quindi quelli più socialmente vulnerabili?
Eppure, una prima conferma di ciò che abbiamo ritenuto di rappresentare la si può registrare: qualche azienda nostrana -grande (dimensionalmente media) ha ritoccato in alto il salario aumentando la paga giornaliera dei suoi braccianti, per contrastare il fuggi fuggi dei dipendenti verso altra occupazione e fuori territorio. Preoccupata appunto di non poter effettuare i lavori, con il rischio di deperimento dei prodotti”.
Nei suoi interventi il rischio di un graduale assottigliamento del mercato del lavoro agricolo la Flai di Ragusa lo ha posto come variabile possibile già in tantissime circostanze e ha avuto l’ardire di precisare che i rischi maggiori si sarebbero riverberati sulle aziende stesse.
Certo porre ora la problematica dell’aumento del salario ai braccianti può suonare come una richiesta anomala. Adesso che le aziende sono colpite dal caro energie e dalla speculazione in atto sulle materie prime. Anch’esse sono in difficoltà. Però va detto che non c’è mai un momento in cui sia possibile porre la questione dell’aumento del salario in agricoltura. C’è sempre una condizione generale che si frappone, che impedisce anche solo parlarne. La storia salariale in agricoltura è la storia di una crisi permanente. Ogni qualvolta poniamo l’accento sulla necessità di operare un aumento della paga giornaliera o oraria rispetto al salario di piazza, vengono sollevate una miriade obiezioni, tutte aventi come comune denominatore la crisi delle aziende legata alla concorrenza e altro.
“Ci siamo sempre più convinti che il rimedio è nell’abbassare la percentuale dei profitti delle aziende, che in questi anni sono stati altissimi. Si possono fare meno profitti, ma sempre profitti considerevoli, determinando un contesto di maggiore giustizia lavorativa e salariale in agricoltura.
In raccordo con questo nostro proposito abbiamo pensato di inviare, nei prossimi giorni, una lettera alle aziende medio-grandi per intavolare un confronto in ordine alla problematica da noi posta, sperando in una aperture delle dirette interessate. La Flai vuole salvare il valore imprenditoriale delle intraprese cresciute nel nostro territorio, ma vuole anche dare una svolta di progresso al mondo bracciantile”.