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Il lavoro non si crea per decreto………….l’opinione di Rita Faletti

Cosa accadrà in casa giallo-verde, se la forza trainante sia la Lega o il M5S, se tra Di Maio e Salvini ci sia reale condivisione sul contratto di Governo o distanza sostanziale e siderale, finiremo per scoprirlo in autunno con la ripresa dei lavori parlamentari. Quello che pare certo, è che alle vacanze lunghe non rinunceranno nemmeno i sedicenti stacanovisti della nuova politica, quelli che condannavano l’interminabile pausa estiva dei colleghi degli altri partiti. Quando entri in un sistema consolidato, è difficile scardinare le vecchie abitudini, figuriamoci poi se sono piacevoli. Le persone cambiano, le abitudini rimangono. I 5Stelle, da quando sono entrati in massa nel Governo, non sono più gli stessi che gridavano onestà, onestà, onestà. Creature rousseauiane, si sono mescolate ai loro simili ritenuti dissimili così in fretta che quasi non ci si crede. A cominciare dall’afasia degli esordi, loro, campioni dello sgolo contro tutto e tutti, hanno lasciato a Salvini la scena fino a quando hanno pensato di dargli il cambio. Ed è arrivato il Decreto di Dignità, accolto con favore dai sindacati e con sfavore dagli imprenditori nella solita logica che se va bene agli uni, agli altri fa schifo. E’ il gioco delle parti secondo i vecchi schemi: il mondo degli operai sindacalizzati contro il mondo dell’impresa. Un cliché che rispecchia l’incapacità di questo Paese di adattarsi al nuovo, cercando di fermarlo piuttosto che adeguarvisi e, come avviene negli Stati moderni, prefigurare i cambiamenti in arrivo e attrezzarsi. E’ una questione di lungimiranza politica, l’onda si cavalca non la si evita, o ti sommergerà. Eppure, sarà per motivi ideologici, sarà per mancanza di visione, i 5Stelle rispolverano soluzioni del passato per affrontare il futuro. Nonostante la timidezza del Decreto, che poco inciderà sulle tutele a favore dei lavoratori, la riformina di Di Maio è stata interpretata dalle principali associazioni d’impresa come un segnale pericoloso che non incentiverà il lavoro. Gli imprenditori assumono se sanno di poter contare sulla flessibilità che è il Mercato ad imporre, secondo il rapporto tra domanda e offerta, su cui le piccole e medie imprese italiane, il 90 per cento, scommettono. La preoccupazione maggiore è generata dall’introduzione delle causali per il rinnovo del contratto a tempo determinato, quello che ha favorito l’inserimento di nuovi occupati anche in tempo di crisi. Mettiamo il naso fuori e vedremo che in Germania la disoccupazione è molto bassa anche con l’esclusione dei mini jobs. La riforma liberista di Schroeder del 2013 ha rimesso in piedi l’economia tedesca e ridato ossigeno ai conti pubblici, abbassando la spesa e rilanciando la crescita attraverso la flessibilità del lavoro. Sgradita a molti, ha permesso però alla Merkel di allentare i cordoni della borsa senza che il Paese perdesse il ruolo di locomotiva d’Europa. Oggi in Germania i salari vanno da un massimo per gli operai ad alta specializzazione, equiparabile alle entrate dei professionisti, ad un minimo del lavoro interinale. Morale: o si accetta la sfida del Mercato globale con le sue conseguenze e cioè la nascita di lavori moderni che portano con sé precarietà e mobilità, o ci si chiude ad ogni opportunità di rinnovamento, e ci si prepara a scomparire. Al solito, i più svantaggiati sarebbero i più deboli ai quali verrebbe preclusa qualsiasi via di fuga. Il denaro corre laddove esistono occasioni di investimento e di arricchimento e dove il controllo dello Stato non è così stringente. Precarietà non vuole dire perdita di lavoro se si interviene con la formazione continua e con la ricostruzione delle abilità che facilitano il passaggio da un lavoro ad un altro, avanzamenti di carriera e migliori opportunità economiche. Di Maio parla di centri di formazione da rifondare, per i quali sarebbero pronti due miliardi. Negli altri Paesi funzionano benissimo, in Italia quei pochi esistenti da malissimo a niente, mancando la professionalità di chi vi opera, che dovrebbe incrociare la domanda con l’offerta. C’è poi un pregiudizio diffuso da sradicare: l’importanza prevalente data ai lavori intellettuali che fa preferire i licei alle scuole professionali, ritenute un po’ ovunque istituti di serie B, tranne in alcune regioni del nord dove alcune di ottimo livello rappresentano un sicuro bacino cui molte aziende locali attingono. Conseguenze di quello stupido pregiudizio, l’amara ma ovvia constatazione che un diploma liceale non vale nulla senza un corso di laurea, e l’impossibilità per le imprese di reperire giovani formati che potrebbero aspirare a posizioni buone e ben retribuite. E in tema di pregiudizi, inviterei Di Maio a liberarsi di quello altrettanto stupido e diffuso, secondo cui gli imprenditori sono tutti disonesti, che temo sia al fondo della sua mente e abbia ispirato il Decreto di Dignità. Perché, se per alcuni è vero, è anche vero che non tutti i sindacalisti curano gli interessi dei lavoratori. Ancora: se i sindacati non cambiano, li faremo cambiare noi. Parole di Di Maio che in campagna elettorale faceva il leone, cerchi di non diventare pecora.
ritafaletti.wordpress.com

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