
Una scrittura poetica che promana da nuclei indicativi arricchendosi dell’etimo tonale e proseguendo in un’acquisita semantica riassuntiva ed esplorativa, è quella che si trova davanti il lettore leggendo la raccolta Solo io e l’ombra, Edizioni Il Cuscino di stelle, 2024, della poetessa rumena Niculina Oprea.
L’autrice, che vive a Bucarest, ha un percorso poetico di tutto rispetto; è membro dell’Associazione degli scrittori rumeni di Bucarest, ha pubblicato undici volumi di poesie ed è presente anche in volumi collettivi e riviste letterarie internazionali.
A portarla all’attenzione del panorama letterario italiano è stata la poetessa Claudia Piccinno con la traduzione della silloge Solo io e l’ombra, un libro che scorre, a tratti, in un dialogo d’anima con un morbido fraseggio ermetico, e in una narrazione feconda, espressiva e consistente di profili.
La traduzione di Claudia Piccinno, autrice di numerosi libri di poesia, ambasciatrice per l’Italia del World Institute for Peace e di Istanbul Sanat Art, responsabile della rubrica poesia per la Gazzetta di Istanbul ed editor per l’Europa della rivista turca Papirus, ci fa entrare con gradevoli effetti interpretativi nel mondo di Niculina Oprea, la cui silloge, già dal titolo. è una dichiarazione di poetica che predispone alla lettura di testi che esplorano i meandri dell’anima, le solitudini interiori e il rapporto complesso con la propria identità. L’uso della congiunzione “e” sottolinea la coesistenza di questi due elementi, suggerendo un dialogo silenzioso e costante tra la poetessa e la sua ombra. La scelta di termini così essenziali e privi di orpelli (“solo”, “io”, “ombra”) conferisce all’opera una forza evocativa immediata e universale, ove l’ombra sembra assumere connotazioni diverse: un confidente silenzioso, un alter ego inquietante, un simbolo di ciò che si tenta di nascondere, annunciando l’iter di un viaggio poetico nella dimensione dell’interiorità e un’esplorazione delle zone d’ombra dell’esistenza in un contesto di confronto intimo con la realtà:
Queste orme non sono mie
né lo è quest’ombra
quest’ombra sempre crescente
che inghiotte ciò che ho di più caro…//
…nessun membro della famiglia è presente
solo io e l’ombra
se mi dirigo verso la finestra
l’ombra cancella la finestra
se mi dirigo verso la porta
l’ombra cancella la porta
Penso che quest’ombra sia la mia morte…
(L’ombra, p. 10)
Dunque una poetica di concreta creatività quella di Niculina Oprea, una ricostruzione degli impulsi del suo sentimento, secondo la comodità della memoria e il dato provvisorio che sveglia l’operosità del suo logos pensante. Il contenuto dei testi vive così di articolazioni tematiche varie (il matrimonio, la cena, la mano, l’angolo del paradiso, la gonna della fioraia, l’ultima goccia d’amore, l’ossessione del mattino), proliferate da nuclei fonici che si ordinano in un discorso sempre più analitico.
Ricca di immagini evocative e di un senso di attesa, trasformazione e forse anche di una sottile delusione, risulta la poesia La mano, un testo che trasfigura un momento di transizione emotiva e personale. Niculina Oprea esprime nella prima strofa un forte senso di desiderio inappagato (“Cento mani tese davanti a me / e nessuna quella che aspettavo”), contrastato da un’immagine olfattiva ambivalente legata a una figura in allontanamento. La seconda strofa si concentra sul potenziale di crescita e di cambiamento, con la metafora della fioritura e dei voli che si dispiegano. La trasformazione della “mano protettiva” in “plasma” e la necessità di “nascere” da essa, suggeriscono un processo di emancipazione e di auto-generazione. Dalla poesia, dunque, trasuda un sottile velo di malinconia per l’assenza della mano desiderata, ma la conclusione si concentra su una forza interiore emergente, sulla capacità di trovare una nuova forma e una nuova autonomia anche dalla dissoluzione di ciò che un tempo offriva protezione. La poesia è fortemente densa di simbolismo e lascia spazio a possibilità interpretative riguardo alla natura specifica delle relazioni e delle trasformazioni descritte:
Cento mani tese davanti a me
e nessuna quella che aspettavo
la scia del vapore dietro di lui puzzava
di albicocche mature e menta.
Ero vicina alla fioritura
i voli si dispiegavano in alto
la mano protettiva stava diventando un plasma
da cui dovevo nascere.
(La mano, p. 14)
Anche la poesia L’ultima goccia d’amore è emblematica di un espressionismo verbale che, consolidato da visioni e avvenimenti, riavvolge i momenti del cammino esistenziale della poetessa, valorizzandoli con versi che si piegano ad esprimere sensazioni vissute hic et nunc, nello spazio di visioni concrete, offrendo, così, un tipico sintagma pervaso di un’atmosfera cupa, surreale e profondamente malinconica, intrisa di immagini forti e disturbanti:
La radiografia del sogno ha un odore simile
a un corpo imbalsamato.
Il cane assaliva annusando la meta
che spinge nella bara.
L’unica porta conduce allo stomaco vuoto
pronto per digerire
ali che ignorano il volo.
Ogni volta che passa la pelle dell’angelo invecchia.
“I suoi polmoni stanno ventilando” l’ultima goccia
d’amore.
(L’ultima goccia d’amore, p.25).
In questa poesia c’è un universo oscuro e pessimista, le immagini sono forti ed evocatrici di un senso di delusione interiore, di desiderio autodistruttivo, di ineluttabile decadenza e di perdita totale di speranza e amore.
Quando la poetessa afferma che il sogno ha un odore simile / a un corpo imbalsamato, evidenzia, con un forte paragone ossimorico, che il sogno, idealmente luogo di libertà e immaginazione, spesso si trasforma in qualcosa di freddo, di statico, privo di vita e forse anche di corruzione interiore. Molto forte, nella chiusa finale, anche l’immagine dei polmoni che “stanno ventilando l’ultima goccia / d’amore”: è l’immagine di un’ agonia e di un esaurimento emotivo da cui emerge che l’amore è ridotto ad una goccia che viene espirata con l’ultimo respiro e che, altresì, suggerisce una perdita totale di affetto, di calore umano, un esaurimento completo della capacità di amare o di essere amati.
La poesia si offre come metafora universale di una profonda crisi esistenziale dell’uomo, di una visione disillusa della vita, delle relazioni o della condizione umana in generale, costruendo immagini così estreme e disturbanti per spingere il lettore a misurarsi con la fragilità e la potenziale oscurità dell’esistenza. Non c’è luce o speranza apparente in questi versi, solo un lento e inesorabile declino verso la fine.
Nella raccolta Solo io e l’ombra, che mette in una prospettiva unitaria diversi testi poetici tratti da tre sillogi poetiche, Niculina Oprea costruisce il filo di una motivazione che fa tutt’uno con una poetica che lascia intravedere una “meditazione sulla vita”, un coinvolgimento nelle vicende dell’esistenza attraverso una oscillazione che passa dal momento autobiografico a quello universale.
Sul piano formale tutto il costrutto poetico è arricchito di metafore; il plesso semantico assume significati simbolici e metalinguistici: i riflessi dell’acqua, i volti degli oggetti, la grandezza dell’ombra, la polvere che si stende, gli specchi freddi, i timpani del mattino, i pilastri del tempo, la cremazione della memoria, il valore dei ricordi, includono significati allegorici, denotano situazioni psicologiche di sofferenza, di fuga, di ricerca, di sublimazione e connotano visioni e suggestioni che agitano l’animo della poetessa.
La lettura in chiave poetica della scrittura psicologica di vissuti intensamente partecipati, raggiunge livelli interessanti nella poesia Oltre il cerchio:
Le stesse regole del cerchio
stanno sgretolando la mia unicità.
Sbriciolo l’ombra da sola
verso piccoli brividi
sopra la polvere che si stende
come un guscio dimenticato.
La segmentazione di questa disillusione
sembra l’unica cosa che ho in mente
come guadare il viso rifesso
all’interno di caotici giochi di ombre.
Dentro gli specchi freddi
mi sento molto meglio
da questa superficialità emerge
il ricordo di una mattinata piovosa.
La foresta dell’infanzia rimaneva
al di là del cerchio
e ancora, esulta.
Questa poesia si offre al lettore come un intenso e malinconico viaggio interiore che focalizza la perdita di individualità e il desiderio di evasione verso un passato idealizzato. L’immagine del “cerchio” simboleggia convenzioni sociali, aspettative, routine soffocanti e persino la percezione di essere intrappolati in un destino predeterminato, tant’è che la poetessa né coglie l’effetto distruttivo nello sgretolamento della sua unicità.
Niculina Oprea si ritrae così in solitudine (“da sola”), intenta a “sbriciolare l’ombra”, con la consapevolezza lucida e analitica del proprio stato d’animo (la “segmentazione di questa disillusione”), con una sensazione di disagio, forse di freddo interiore o di paura( “piccoli brividi”), trovando un miglioramento (“mi sento molto meglio”) all’interno di “specchi freddi” che diventano un rifugio nell’auto-osservazione distaccata, in una sorta di anestesia emotiva.
Nell’immagine della “foresta dell’infanzia” la poetessa trova invece un luogo ideale, di libertà, di innocenza e vitalità, superando la prevaricazione delle “regole del cerchio” che opprimono il presente. Questa visione memoriale della foresta che rimane “al di là del cerchio”, sembra voler sottolineare la sua irraggiungibilità nel contesto attuale, anche se l’avverbio “ancora”, seguito dal verbo “esulta”, introduce una nota di speranza o di persistenza. E così, nel ricordo dell’infanzia la poetessa continua a vibrare di gioia e a salvaguardare la propria ricerca d’identità in un mondo che tende all’omologazione.
Diceva Sant’Agostino: “Noli foras ire, redi in te ipsum. In interiore homine habitat veritas” ( “Non uscire da te stesso, rientra in te: nell’intimo dell’uomo risiede la verità”). E’ proprio nello scavo interiore, in una lunga macerazione che mai diventa solipsistico compiacimento, che Niculina Oprea assurge alla vera poesia meditando dentro se stessa “Ciò che rimane dal tutto” e allontanando “l’insonnia / al di là della retina del vuoto”; la sua scrittura è colta e la sua poetica si fonde con la vita e vi si pone dentro come luce di animazione e dinamismo, non solo per reggerne la rotta, ma per correggerla anche. Nei suoi versi s’agita un’anima culturale critica, autonoma e libera, che nasce e si muove nel vivo della storia attraverso il continuo e proficuo lavoro d’indagine, di analisi, di dibattimento delle idee:
“…Dalle simmetrie dei denti del lupo
passerà solo la paura
di chi non sa
su quale pelle si sta sdraiando”, p. 38;
“…Nel cuore caldo
il sangue scorre attraverso un’altra logica.
La logica della morte è annusare
l’evolversi del destino con la musica.”, p.41;
“…Ondeggiano suoni e immagini
che preludono al futuro tsunami.”, p.43;
“In un Paese assetato di democrazia
il traduttore straniero cerca un presunto indirizzo
o almeno un poeta locale.
Nemmeno quest’anno si eviterà la bancarotta, p.44.
Il presupposto concettuale, morale, estetico della poesia di Niculina Oprea guarda sicuramente nel reale fenomenico; lo spazio della sua poesia è il presente storico con la sua problematica e la crisi dei valori, osservato e penetrato da uno spirito con l’occhio della mente e il cuore alla metafisica, e aperto anche al Soprannaturale: “…Solo una divinità può sollevarmi / dall’ombra del corpo…// Voglio cancellare la mia memoria, Dio, /ma qualcuno continua a rubarmi la spugna”, p. 28; “…Dio, ti sei dimenticato del silenzio / che prometteva la quiete dell’aria”, p.35.
I versi di Niculina Oprea sono così pensiero e sentimento, musica e canto; rispondono a tutte le folgorazioni della sua anima penetrando nei dolci sensi del cuore con vigore, densità e incisività, e lanciando anche messaggi etici e sociali: “…I ciechi della città / sfilano nudi”, p.12; “…La parte del leone resta scoperta / si nasconde al suo interno / con il silenzio ben mascherato”, p.23; “…Questi tempi / – Voglio dire gli ultimi anni – /scivolano via strangolando la verità…”, p.29.
La poetessa non si stende su schemi di evasione idilliaca, né offre le foglie accartocciate d’un facile sentimentalismo, ma riporta sulla pagina le note d’un canto o mesto o amaro, o sereno o gioioso, come emerge con evidenza dalla poesia iniziale della silloge, dal titolo Danza:
Sto ballando
tra il sonno e il fallimento
al confine del cerchio di fuoco
se solo queste braccia gommose
potessero finalmente bruciare!
Ho avvolto la
lastra che sto trasportando
nel sudario che la mia gente
mi ha offerto
Si aspettano qualcosa di me
cosa non so.
Si tratta di un testo ricco di immagini evocative da cui trasuda un desiderio di cambiamento e senso di responsabilità. Se l’immagine di “ballare tra il sonno e il fallimento” suggerisce una condizione di instabilità, di precarietà, il confine del “cerchio di fuoco” intensifica questa sensazione, evocando pericolo e una prova imminente. Niculina Oprea condensa così nell’immagine del sudario un compito gravoso alla quale è chiamata; il fatto che il sudario sia offerto dalla “propria gente” aggiunge un ulteriore livello di complessità, legando il destino individuale alle aspettative della comunità. Una poesia che pone di certo il lettore di fronte a un ventaglio di domande e che offre le provocazioni della coscienza critica della poetessa, accompagnate da un distillato di sentimenti contrastanti: la lotta interiore, il desiderio di superare i propri limiti, il peso delle aspettative esterne e l’incertezza del futuro.
Concludendo, ci pare di potere affermare che il corpus poetico della silloge Solo io e l’ombra di Niculina Oprea, poggi su una filosofia di pensiero, ora di forte liricità ora di densa prosodia, entro cui si snoda la sua meditazione sull’esistenza in un dato luogo e una data terra, con una disamina realistica che rifulge spesso in immagini e metafore di icasticità espressionistica.
La poetessa conduce il lettore nella complessità della vita umana con un linguaggio evocativo, incisivo e significativo, con una sintassi sapientemente costruita ed architettata, riuscendo a suscitare pensieri di spessore filosofico e antropologico e con tecniche che fanno vibrare il cuore generando sensazioni ed emozioni forti e indirizzando l’animo umano verso la comprensione della propria identità ed essenza esistenziale.
Niculina Oprea è un poetessa che coglie il “nunc fluens” della vita, sognando il bisogno di un mondo migliore; i suoi versi, viaggiando tra il privato e il sociale, indicano un percorso introspettivo e descrittivo dove “Resta dell’intero / solo una profonda ingenuità / respinta da pensieri ‘ombra’ / riflessa sopra i contorni”, p.32; dove “I ciechi della città /sfilano nudi” e lei “si unisce a loro / come in un volo destinato all’incidente”, p.12; dove “Sulle pareti dell’auto ‘il sonno della vita’ / il poeta sta incidendo una poesia”, p.54. E così, viaggiando nel mistero della vita, l’autrice trova nella poesia una prospettiva di senso e un orizzonte di respiro di aria fresca:
“…Nel cuore delle notti insonni
l’aria fresca si riversa nella stanza del poeta
colui che si nutre , delle parole, del nettare
l’aria fresca si annida tra
le pagine bianche
il turbinio dei pensieri aleggia sopra di loro
sempre più vorticoso.” p.8.
(Notti insonni a Bucarest)