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Per amore di giustizia…l’opinione di Rita Faletti

Tempo di lettura: 2 minuti

Per amore di giustizia e con profondo rispetto per quello che la parola significa, che troppo e troppi evocano a vanvera e quelli che l’amministrano lo fanno spesso contro di essa, sento il dovere di riempire i vuoti di informazione su una vicenda su cui sarebbe bene riflettere prima di tranciare giudizi che danno ragione all’ignoranza e all’ideologia tossica. Chi era Sergio Ramelli? Sulla targa apposta nella sala insegnanti del Liceo Molinari di Crescenzago, Milano, fino a ieri si leggeva: “In ricordo di Sergio Ramelli studente di questo istituto ucciso il 27 aprile 1975”. Un periodo buio della storia italiana gli anni Settanta, gli anni di piombo, gli scontri violenti tra estrema destra e estrema sinistra, i criminali di una parte e dell’altra e il sangue innocente. E innocente era il sangue di Ramelli, il diciannovenne ammazzato a sprangate da esponenti di Avanguardia operaia. L’aggressione fu talmente violenta da schiacciargli la testa. L’agonia durò oltre un mese e responsabili non furono le sue idee, che non nascondeva, ma la scuola, i professori, il preside, che non fecero nulla per evitare il crimine ma lo agevolarono. Ramelli non era un attivista né un violento. Era iscritto al Fronte della Gioventù, organizzazione giovanile del Msi, quindi legale, ma la legalità era un dettaglio di poco conto se stavi dall’altra parte. Allora, quale era stata la colpa di Ramelli? L’aver scritto un tema in cui aveva parlato di due militanti del Msi di Padova uccisi da brigatisti. Il tema era stato tolto al professore da militanti di estrema sinistra che lo lessero in classe e lo appesero nella bacheca della scuola. Iniziò così la caccia al “fascista”. Molto “democraticamente”, il preside dell’istituto mise l’aula magna a disposizione di insegnanti e studenti che intimarono al ragazzo di ritirarsi dalla scuola. L’aula magna trasformata in aula di tribunale, pratica non inusuale a quei tempi, anch’io ne sono stata testimone. Nonostante il delitto vergognoso, il corpo docente del Molinari non si ravvide. Ci volle l’intervento dell’allora assessore provinciale all’Istruzione, Paola Frassinetti, oggi sottosegretaria all’Istruzione, perché nel 2007 una targa ricordasse il giovane ucciso. Lo scorso gennaio la stessa Frassinetti ha chiesto all’istituto che per il cinquantesimo dell’omicidio venisse sostituita con una nuova, più coraggiosa. Si menzionava il nome dello studente ucciso senza riferimento alle circostanze e agli assassini – “studente ucciso”- come? Perché? Richiesta negata: il Consiglio di istituto ritiene quella esistente “adeguata” a ricordare Ramelli. Ieri il ministro Valditara accompagnato da Frassinetti erano al Molinari a inaugurare la nuova targa: “In ricordo di Sergio Ramelli, studente di questo istituto, ucciso per le sue idee il 29 aprile 1975”. Che una scuola, luogo della conoscenza, della formazione e della crescita equilibrata impedisca la libera espressione del pensiero e delle idee è scandaloso e, nel caso specifico, umiliante per il corpo docente che ha fallito miseramente la missione educatrice e civile. La cerimonia di ieri è stata definita “inopportuna” da chi ancora ritiene che il sangue dello studente fascista valga meno e tace vilmente sull’assassino se è un extraparlamentare di sinistra. Questo paese non riuscirà mai a liberarsi dall’odio ideologico finché rimarranno tracce pesanti di un passato che si vuole opportunisticamente tenere in vita. La dimostrazione è la manina provvidenziale dell’“antifascista” di turno, che nella vetrina della libreria Feltrinelli in Stazione Centrale a Milano, ha messo a testa in giù la copertina del libro di Giuseppe Culicchia “Uccidere un fascista. Sergio Ramelli, una vita spezzata dall’odio” che ritrae la foto del giovane Ramelli. Non è bastato colpirlo a morte cinquanta anni fa, lo si vuole uccidere un’altra volta. Culicchia, che non è un pericoloso fascista, ha commentato: “Ci sono persone che dovrebbero vergognarsi di stare al mondo ma non sanno cos’è la vergogna”. Sono i fascisti dell’antifascismo.

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1 commento su “Per amore di giustizia…l’opinione di Rita Faletti”

  1. Tonino Spinello

    Già, e siamo arrivati al punto che diventa pericoloso anche parlare di certe cose o di certe memorie. Gli antifascisti sono i veri fascisti, quelli che vedono fascisti ovunque e se la pensi diversamente da loro allora sei un fascista. Chiaro no?

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