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Un Paese civile tutela le Forze dell’ordine…l’opinione di Rita Faletti

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Il diritto al dissenso e alla protesta è uno degli elementi fondamentali della democrazia, che è nell’interesse oltre che nel dovere dei governi rispettare e nell’interesse e nel dovere dei cittadini esprimere nelle forme consentite dalle leggi dello Stato. Da un paio di anni a questa parte e in concomitanza con l’insediamento di un esecutivo di centro destra, maldigerito dalle opposizioni e dal principale sindacato, le manifestazioni sono cresciute a dismisura: 12302 nel 2024, il 10 per cento in più rispetto all’anno precedente, con l’aggravante che quasi nessuna si è svolta pacificamente. Che si sia trattato di Palestina, le guerre, la violenza di genere, il patriarcato, il governo fascista, la sicurezza, l’occupazione, i salari, ognuna è stata l’occasione per cercare lo scontro fisico con le Forze dell’ordine, dando l’impressione che l’obiettivo perseguito sia “il morto in piazza” per portare alla sbarra il governo. Una violenza a sfondo politico che chiama a raccolta rabbiosi e frustrati di ogni sponda, si esprime con frasi e minacce contro la presidente del Consiglio, “Giorgia, occhio al cranio”, che Marco Minniti ha invitato a prendere sul serio, e va all’assalto delle Forze dell’ordine che è già tanto se continuano a servire uno Stato incapace di difenderli nell’esercizio quotidiano delle loro funzioni. Il caso del carabiniere Masini, intervenuto per fermare un uomo che aveva accoltellato 4 persone e dopo aver sparato in aria ha ucciso l’accoltellatore in preda a una furia incontenibile, suggerisce di ripensare l’automatismo dell’iscrizione nel registro degli indagati. Almeno in situazioni in cui la legittima difesa di sé e di altri è lapalissiana e il numero di agenti feriti è impressionante. Secondo i dati del ministero dell’Interno, nell’anno appena concluso sono stati 273, più 127,5 per cento rispetto al 2023. Un dato allarmante che giustifica e difende il ddl Sicurezza contro l’accusa di autoritarismo mossa al governo dalle opposizioni. Alcune città italiane sono diventate i campi di battaglia di delinquenti che si danno appuntamento via social per dare la caccia alla Polizia. A Torino, Milano, Roma e Bologna, gruppi di professionisti della violenza approfittano di ogni occasione per dare sfogo ai peggiori istinti. Alcuni sono stati riconosciuti per aver preso parte a diverse manifestazioni e aver usato la stessa metodologia: infiltrarsi tra i manifestanti e assumerne la guida prima di dare inizio alla guerriglia urbana. In mezzo a studenti universitari e delle scuole superiori e in qualche caso delle inferiori, che neanche sanno per cosa protestano, c’è tutta la galassia antagonista e anarco-insurrezionalista e gli onnipresenti centri sociali. Il 2025 è iniziato sotto i peggiori auspici. Nello scorso fine settimana le manifestazioni in ricordo di Ramy hanno toccato l’apice dell’aggressività. A Roma gli agenti feriti sono stati 8, a Bologna 10. Nel capoluogo rosso, le immagini degli assalti furibondi alle Forze dell’ordine si sono alternate a quelle della devastazione del centro storico. Vetrine distrutte, bidoni della spazzatura dati alle fiamme, la Sinagoga vandalizzata, le scritte oltraggiose sui muri, gli insulti ai poliziotti, che devono trattenersi: “Tanto non puoi farmi niente”. La sfida del teppista arrogante che si sente protetto da chi si è rifiutato di vedere, sentire e parlare, le 3 scimmiette in una, l’insipiente sindaco del Pd Matteo Lepore, che a disastro avvenuto si rivolge ai facinorosi che gli hanno messo a ferro e fuoco la città, perché si parlino, “per vedere cosa si può fare”. Invitare in comune chi ha disfatto la città ai bolognesi che dovranno pagare i danni di tasca propria è come invitare a casa chi ti ha stuprato la figlia. Incapienza mentale o ambiguità  lassismo e complicità di un partito sempre più schiacciato sulle posizioni di AVS e di Conte e che pensa, o spera, che per risolvere i problemi basti parlarne, a posteriori, con chi li ha creati: i nuovi compagni che sbagliano.

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