La scorsa settimana la Ue ha adottato il quindicesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia, finalizzato a limitare la capacità di “condurre la sua guerra di aggressione illegale, non provocata e ingiustificata contro l’Ucraina”. Nel mirino di Bruxelles, paesi entità e singoli che supportano il complesso militare e industriale russo, petroliere extra-Ue che fanno parte della “flotta ombra” di Putin, navi cargo che trasportano equipaggiamento militare o grano ucraino rubato. Alla lista si aggiungono molte misure che colpiscono l’elusione delle sanzioni. Oggi von der Leyen ha annunciato che è in preparazione il sedicesimo pacchetto. Kaja Kallas, Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la sicurezza, ha ribadito che l’Ue sosterrà l’Ucraina fino al conseguimento della vittoria per una pace giusta. Un po’ di ottimismo è d’obbligo, il che non ci esime però dall’essere fortemente critici di fronte alla sproporzione tra parole e promesse di aiuto e incertezze e ritardi nell’invio di armi. E proprio le armi sono il tema, dal momento che l’occidente ha sempre escluso di mettere gli scarponi sul terreno. Il conflitto sta per entrare nel suo terzo anno e l’unica certezza è che Putin non fermerà la sua operazione di distruzione fino a quando non sarà costretto. Se e da cosa si vedrà. La posta in gioco è troppo alta per chi ha scommesso il proprio futuro sul ripristino dei vecchi confini della Russia e la sua ricollocazione tra le potenze globali. In Europa, i tempi di reazione sono lenti, si stenta ancora a rendersi conto della sfida che Vladimir Putin lanciò alla compagine occidentale già nel 2007. A un ascoltatore attento, non sarebbe sfuggita la velata minaccia contenuta nel discorso pronunciato dal presidente russo alla Conferenza di Monaco sulla sicurezza. La visione personale dell’ordine di sicurezza europeo, rivelava, benché in maniera obliqua, le intenzioni di Putin, che, in quell’occasione, contestò il diritto internazionale a suo avviso non in grado di garantire la protezione contro il dominio monopolistico e l’uso della forza degli Usa. Parole fuori luogo perché di fatto la sicurezza della Federazione russa non era in pericolo. In realtà, Putin aveva usato l’arma della sicurezza europea con intento vittimistico, avvertendo, al tempo stesso, che “l’unico meccanismo che può prendere decisioni sull’utilizzo della forza come ultima risorsa è la carta delle Nazioni Unite; la Nato e la Ue non possono essere un sostituto dell’Onu”. Più chiaro di così. Purtroppo, neanche col senno di poi ci si rese conto che lo scopo di Mosca era altro dal pretendere la conferma che la Federazione russa sarebbe stata al riparo da minacce alla propria sicurezza. Nemmeno 7 anni più tardi, nel febbraio del 2014, quando l’aggressività russa esplose. Iniziò con l’occupazione della Crimea, seguì con il conflitto alimentato e finanziato segretamente da Mosca tra le forze separatiste e quelle governative di Kyiv nel Donbas, culminò con gli scontri di Euromaidan tra la polizia e i manifestanti che dal 2013 protestavano contro la decisione del presidente Janukovic di abbandonare la politica di collaborazione con la Ue a favore di un riavvicinamento alla Russia. La strategia di Mosca, che mescolava il caos provocato da infiltrati russi mandati a sobillare cittadini filorussi contro gli ucraini, a minacce ibride e disinformazione, è lo stereotipo al quale si assiste in questi giorni in Georgia e Romania. Difficile oggi non nutrire dubbi sulla volontà revisionista di Putin, che 10 anni fa osservatori stranieri e media erano impreparati a decifrare e interpretare correttamente. Si preferì credere che gli scontri e gli episodi di violenza fossero stati causati da malintesi tra le parti. A provocare nuovo allarme, nel giugno del 2014, fu l’abbattimento di un aereo da trasporto ucraino diretto all’aeroporto di Luhansk. Un mese dopo, nei cieli dell’Ucraina orientale, la stessa sorte toccava al Boeing 777 della Malaysian Airlines da Amsterdam a Kuala Lumpur. 298 i morti. Ma l’occidente si limitò a qualche dichiarazione politica. Solo il 24 febbraio 2022, con l’invasione su larga scala dell’Ucraina, ha iniziato a prendere corpo il sospetto che tanti indizi fossero la prova di un piano preciso di Mosca: prendersi l’Ucraina, poi qualcos’altro e intanto destabilizzare l’ordine mondiale. Vladimir Putin ieri ha parlato come ogni fine d’anno al Consiglio del ministero della Difesa, poi ha dato la parola al ministro, Andrei Belousov, il quale ha detto di prepararsi a una guerra contro l’Alleanza atlantica e che Mosca deve essere pronta a qualcosa di diverso, più grande e più forte. Anche Mark Rutte, il nuovo segretario generale della Nato, ha parlato, di sicurezza. Ha detto che è il momento che l’Ue si svegli e cominci a pensare di destinare alla difesa più del 2% del pil. La Polonia è arrivata al 4,6%.
2 commenti su “Deterrenza o capitolazione? …l’opinione di Rita Faletti”
Ursula Albrecht ha dei processi a gennaio, ricordo bene?
Rutte ha dichiarato che con la capacità produttiva russa, l’Europa in 5 anni non riuscirà mai a stargli dietro, fra l’altro con una situazione economica disastrosa europea e pochissimi reclutamenti.
Pure gli usa hanno dichiarato che l’eu non va da nessuna parte perché non ha nessun tipo di capacità, e per loro lo scenario è in chiusura.
Fallimento su tutta la linea.
La domanda, tralasciando al solito una narrativa da universo parallelo, e:
Ma i popoli degli ‘stati’ del continente Europeo, appoggiano le politiche contro la Russia e/o a sostegno tutt’ora dell’ucraina?
No.
Quindi, quale democrazia si vorrebbe difendere? E da quale pericolo esattamente?
O si difende la volontà di sottomettere la russia per interessi che riguardano altro, al di là di sterili e vuoti paroloni che alla base non hanno nulla di rappresentativo per l’occidente attuale?
Forza, svisceriamo il problema. Chi vuole questo schifo da anni? Il popolo?
Poi guardiamo in casa d’altri, guardiamo un po’ di nostre porcate che sarebbe ora, laviamo i nostri di panni.
Democrazia ”de che”?
Pronto, c’è nessuno in casa?
Scordavo, rutte ha anche dichiarato che i governi devono sottrarre soldi alle pensioni, ai servizi sociali ed alla sanità per spenderli in armi.
Ripeto, quale popolo lo farebbe visto che non crede ad una fava di ciò che si propaga contro la Russia?
Vi fosse qualcosa di vero, saremmo tutti d’accordo, a parte i pacifisti.