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L’ora Legale Pillole di Costituzione a cura di Piergiorgio Ricca

Scopo dell’art. 37 Cost. è la tutela delle donne lavoratrici, con particolare riguardo alle madri di famiglia, e dei minori con occupazione.
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Composto da tre commi, al primo, l’articolo prevede che: “la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione”. La donna, oltre ad avere gli stessi diritti dell’uomo all’interno del contesto sociale, gode dei medesimi anche nella vita lavorativa. Un principio che oggi sembra alquanto scontato, ma che, evidentemente, non lo era affatto all’epoca della stesura della Costituzione del 1948. Il principio di parità tra uomo e donna, nell’ambito lavorativo, è stato il frutto della consapevolezza del fatto che le donne italiane, nel corso della seconda guerra mondiale, avevano dimostrato di saper appropriatamente svolgere mestieri tradizionalmente percepiti “da uomini”, ragione per cui si ritenne di eludere un regresso all’anteguerra che ne confinava il ruolo all’ambito casalingo. Oggi, è necessario che alle lavoratrici venga assicurata un’adeguata tutela, soprattutto qualora queste siano madri. L’articolo, infatti, sottolinea la necessità di prendere in considerazione come la maternità, o meglio la genitorialità, alteri le esigenze di lavoratori e lavoratrici, dovendo dare priorità ai diritti della madre e del bambino, mediante una appropriata salvaguardia. L’applicazione pratica di questo articolo avviene mediante una serie di norme, emanate dal legislatore ordinario. Tra queste, assume particolare rilevanza il divieto di licenziamento della lavoratrice legati al matrimonio ed alla gravidanza, così come occorre citare quell’insieme di norme che consente di conciliare le esigenze dell’occupazione lavorativa a quelle implicate dal rapporto genitoriale – ad esempio fruendo di congedi.
Al secondo ed al terzo comma, l’art. 37 afferma la tutela del lavoro minorile.
“La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato”. L’età minima per poter intraprendere un percorso lavorativo, secondo la legge ordinaria, è di 16 anni – di fatto, coincide con il termine ultimo dell’obbligo all’istruzione. Pertanto, solo gli adolescenti possono lavorare, a condizione che sia prevista una serie di limiti circa la tipologia di lavoro e l’esecuzione dello stesso. Possono essere impiegati anche i bambini (minori di 16 anni), in attività di carattere artistico, sportivo, culturale, tuttavia, in tal caso è necessaria l’autorizzazione del genitore e della Direzione Territoriale del Lavoro.
L’ultimo comma, nonché il terzo, dispone: “la Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione”. Il lavoro minorile gode di un’autonoma tutela, diversa da quella disposta per il lavoro femminile e speciale rispetto a quella generale dei lavoratori. A livello di legislazione ordinaria, si vieta di adibire i minori al lavoro notturno e si prevede un orario giornaliero, che non può superare le 8 ore, oltre ad un riposo settimanale di almeno 2 giorni. Il lavoro minorile è oggetto di disciplina anche a livello europeo, con l’art. 32 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea.
Per concludere, la norma costituzionale nasce con l’idea di salvaguardare le lavoratrici ed i lavoratori minorenni, secolarmente e socialmente considerate come categorie “deboli”: l’obiettivo è proprio quello di impedire l’insorgere di forme di sfruttamento

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