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America nell’incertezza…l’opinione di Rita Faletti

Tempo di lettura: 2 minuti

Martedì prossimo gli occhi del mondo saranno puntati sul voto che deciderà da chi la più grande democrazia sarà governata per i prossimi quattro anni. Kamala Harris o Donald Trump? La sfida tra i due continua a suon di colpi sotto la cintura, accuse e provocazioni a distanza che non spostano in modo percettibile una situazione di sostanziale parità. Degli stati in bilico, gli swing states, fondamentali sono i voti di Wisconsin, Michigan e Pennsylvania, i tre dove maggiore è l’indecisione. In questa campagna elettorale trash, le questioni importanti, economia e inflazione, sono state toccate appena da entrambi i candidati che si sono concentrati su temi meno complessi e di facile presa sulle folle dei presenti, come aborto e immigrazione, i rispettivi cavalli di battaglia di Kamala e Donald. Il diritto all’aborto è molto sentito dalle donne che confidano nella vittoria della candidata democratica, motivo per cui Trump, che nel precedente mandato lo aveva reso incostituzionale sostenendo la sentenza della Corte Suprema, ha pensato di ammorbidire la sua posizione delegando la decisione ai singoli stati. Altro argomento sensibile è la tassazione che il tycoon vuole abbassare a imprese e lavoratori dipendenti e eliminare sulle mance. In ambito sanità, Trump ha annunciato che non farà tagli, mentre Harris vuole estendere il piano Medicare riducendo i costi per tutti. In tema di politica fiscale, Harris vuole abrogare le agevolazioni per coloro che guadagnano oltre 400mila dollari all’anno e quella relativa all’aliquota per le grandi aziende (dal 21% al 28%). C’è da dire che l’economia americana va a gonfie vele con il Pil aumentato dell’8,7% e la disoccupazione ai minimi storici. Il merito va tutto a Joe Biden e sorprende che non gli venga riconosciuto abbastanza. L’economia americana è la prima a livello mondiale, secondo l’Economist “the envy of the world”, l’invidia del mondo. Poi c’è l’argomento principe, l’immigrazione, su cui Trump non ha dubbi: gli Stati Uniti sono diventati “il bidone della spazzatura del mondo”, bisogna chiudere le frontiere e aumentare i controlli. Harris è d’accordo sul secondo punto ma ritiene sia necessario adottare nuove regole che favoriscano l’ingresso di immigrati regolari. Un capitolo a parte, di non grande interesse per l’americano medio, è la politica estera, almeno non quanto l’economia. Eppure, alcune decisioni non potranno non avere riflessi sulle alleanze e le relazioni con i paesi della Ue e lasciare inalterato l’assetto geopolitico globale. Sappiamo tutti della simpatia di Trump per Putin e dell’ammirazione per i dittatori in generale, i cui metodi non devono dispiacere a un egocentrico che aspira a concentrare il potere nelle proprie mani. Un rischio per la democrazia americana e non solo, che l’elezione del tycoon renderebbe concreto. Un rischio per l’Ucraina che si vedrebbe mancare il sostegno degli Stati Uniti e sarebbe costretta a contare unicamente sugli alleati europei e un rischio per gli stessi europei, abituati alla protezione dello zio Sam. L’altra faccia della medaglia sarebbe però positiva: il ripiegamento domestico degli Usa indurrebbe l’Europa ad uscire dalla lunga fase adolescenziale per entrare finalmente nell’età adulta e assumersi la responsabilità della propria difesa. In questa ottica, anche la difesa di Kyiv e della sua libertà assumerebbe un diverso significato e imporrebbe un’urgenza che finora non ha avuto. Le mire espansionistiche di Putin, negate da alcuni, sarebbero lette con chiarezza e considerate con la preoccupazione che finora è stata assente. Sulla guerra in medio oriente, Trump sarà al fianco dello Stato ebraico come lo è stato durante il precedente mandato quando trasferì l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme e spinse per la normalizzazione dei rapporti tra Israele e i paesi arabi moderati. Secondo i sondaggi, l’appoggio incondizionato a Israele sposta il 66% dei voti a favore del candidato repubblicano, anche per l’atteggiamento intransigente nei confronti dell’Iran, condiviso da molti americani. Diversa, benché non opposta, la visione di Harris, che rispecchia le idee della parte più progressista del suo elettorato. Anche lei però ha confermato la necessità di sostenere Israele e il suo diritto ad esistere e difendersi. Per concludere, fermo restando che un commander in chief donna non sembra rientrare nel comune pensare degli americani, neanche quelli delle classi sociali più istruite normalmente propensi a votare per i democratici, pare che persino gli arabi americani, delusi dalla debole difesa di Gaza da parte di Biden, voterebbero Trump per protesta. Un controsenso che conferma ulteriormente il clima di dominante incertezza. Chi invece non nutre dubbi su chi vincerà le presidenziali, è un professore di storia all’American University di Washington. Sarà Kamala Harris.

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7 commenti su “America nell’incertezza…l’opinione di Rita Faletti”

  1. La più grande democrazia del mondo, è quella dove si vota senza documento d’identità e i brogli elettorali sono all’ordine del giorno, da sempre, e li stiamo vedendo nelle ultime settimane.
    La Georgia, invece, accusata di brogli, dimostra cosa sia veramente la democrazia, al contrario della Moldavia con i soliti ribaltamenti di voti notturni.
    E lampante come sia distorto il concetto di democrazia per un occidentale.

    Più istruiti non restituisce comunque il concetto di più intelligenti, come l’aborto non è un diritto delle donne, ma la soppressione di una vita.
    Sono entrati nel gergo comune concetti totalmente fuorvianti.

    A parte tutto, non vedo l’ora di vedere un rfk alla sanità.

    E, comune vada l’esito, nella più grande democrazia del mondo regna un clima da guerra civile, che gli esperti non tendono a nascondere, a prescindere da chi ‘vinca’.

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  2. @Paolo
    I brogli ci sono e neanche il voto cartaceo, teoricamente il più sicuro, garantisce la protezione contro le manomissioni. Il voto elettronico, il più diffuso, è facilmente manipolabile ma se si rendono indisponibili le infrastrutture non serve manipolare il voto. Negli Stati Uniti il sistema è attaccabile anche perché ogni stato federale decide le proprie modalità di voto. Rispetto al livello di democrazia, il Democracy Index lo stabilisce in 167 paesi. Gli Stati Uniti occupano il trentesimo e vengono definiti una democrazia imperfetta. Va peggio per l’Italia al trentaquattresimo. Nel confronto tra Georgia e Moldava, Lei sostiene che la democrazia in Georgia è sana. Vorrei vedere che sostenesse il contrario visto che il premier di Sogno georgiano è filorusso. In realtà, la Georgia è definita regime ibrido, mentre la Moldava, dove nel referendum per l’ingresso nell’Ue ha vinto il “sì” benché per un soffio, e Maria Sandu, europeista e filoatlantista è stata riconfermata premier con il 65% dei voti, appartiene alle democrazie imperfette. La Russia è un regime autoritario. Per sostenerlo non serviva la classifica di Democracy Index.

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  3. @Rita Faletti, io trovo incredibile che per votare non sia richiesto un documento di identità.
    Come trovo incredibili, come per 4 anni fa, i brogli che vengono denunciati da qualche settimana.
    Schermi per il voto dove non compare Trump, schermi dove si clicca Trump ma il sistema registra Harris (Georgia), risultati delle elezioni che compaiono in televisione come ‘test’ (abc) con la Harris in testa, in Pennsylvania hanno riscontrato un programma di registrazione elettori con migliaia di registrazioni con la stessa grafia, firme e via dicendo; e non parliamo dei voti per corrispondenza che compaiono all’improvviso di notte.

    In Georgia, hanno contestato il risultato elettorale perché o è come piace a ue, nato e usa, oppure è impossibile che sia vero, non se ne riconosce l’esito, e giù pronti tutti in piazza pilotando ad arte le proteste, con attivisti stranieri (anche italiani) con cartelli in inglese. Hanno ricontato, e tutto risulta corretto.
    E vedremo anche la procura georgiana come si comporterà avendo chiamato in causa la presidente salome che denunciava brogli. Dovrebbe presentare prove per tali affermazioni…

    In Moldavia, l’oppositore aveva vinto ufficialmente dopo lo spoglio del 100% delle schede. Solo dopo il conteggio dei voti all’estero, ha vinto la sandu.
    Sono schemi visti e stravisti da sempre.

    Putin dittatore rimane un’opinione. Personalmente, come detto più volte, per mantenere integro, compatto, prospero un paese, serve preservarlo dai pericoli dando un ordine di priorita. Per assurdo, pure sotto pandeminkia da noi, per quanto fossero state misure senza basi valide o logiche o razionali, si e esercitato un potere dittatoriale o monarchico, e le persone lo hanno accettato per il bene comune.
    Così è in Russia.
    Ne consegue, che non conta la maggioranza, conta ciò che un governo fa veramente per il suo popolo. Perché il popolo, come entita astratta, non lo sa.
    Per questo la forma democratica liberale o moderna e fallimentare.

    Vince la maggioranza, ma non è detto che vinca la migliore politica, e come vediamo, non è detto che chi vince faccia ciò che era in programma.
    Se la maggioranza vota il peggio…
    Pure Hitler aveva vinto le elezioni

    Ciò che invece non è da sottovalutare, é ciò che potrebbe veramente accadere negli usa da qui al post-insediamento, soprattutto dovesse vincere Trump. Cosa che dubito, visti i brogli uguali a 4 anni fa.

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  4. Sig Paolo
    Penso che abbia capito che lo (……..) del villaggio “L’illuminato” per antonomasia scrive Min……e usando il mio nickname. E sono totalmente d’accordo su ciò che ha scritto nei suoi precedenti commenti.

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  5. Sig. Gino ‘originale’, assolutamente, conosco un po’ il suo pensiero in merito, avrei risposto in caso contrario. Qualcuno ha trovato un nuovo modo per divertirsi.

  6. Tonino Spinello

    La più grande economia del mondo ha prosperato (specie con le guerre) e per questo è stata sempre invidiata. Con l’andare degli anni questa economia invidiata da tutti e da imitare è diventata spavalda ed arrogante, tanto che in alcuni paesi l’invidia si è trasformata in odio.
    Oggi il paese più democratico al mondo è il più indebitato. Tanti sono i Trilioni di debiti che ha nel mondo e che grandi economisti dicono non potrà pagare. Chiunque sarà il presidente degli USA, dovrà fare i conti con i disordini e il caos del tracollo economico statunitense. Cioè quello interno. Poi a seguire il crollo del dollaro e le relazioni con il mondo intero. Molti chiederanno dei risarcimenti sulla precedente fornitura di democrazia. Se dovesse vincere Kamala, in Texas sono pronti alla secessione dagli Stati Uniti. Questo non è il solo Stato che gli ribolle questo sentimento, ci sono altri Stati con lo stesso sentimento, tipo: Oklaoma, Missouri, Louisiana, Idaho. In pratica se Kamala diventerà Presidente degli Stati Uniti d’America, dovrà fare pure i conti con un eventuale guerra civile.
    Sull’Ucraina: l’America l’ha molllata da un pezzo e la sta scaricando all’Europa e questo succede da qualche mese, quindi dire che se vince Trump non aiuterà l’Ucraina, non è vero perchè qusto succede già ora.
    Ma tralasciando tutto questo, a me la sensazione che mi fa rabbrividire è che tutta l’Europa è col fiato sospeso, come se chiunque vince sia la fine del mondo per l’altro. Questo vuol dire che non siamo in grado di autodefinirci? Quindi americani dipendenti!

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