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L’ora Legale Pillole di Costituzione a cura di Piergiorgio Ricca

L’art. 27 Cost. determina alcuni principi costituzionali fondamentali per l’ordinamento penale.
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Al primo comma, viene sancito il principio della personalità della responsabilità penale e si prevede che: “la responsabilità penale è personale”. Il legislatore Costituente con tale principio, ha ritenuto che può essere considerato responsabile penalmente il soggetto che abbia commesso un fatto commissivo od omissivo a lui direttamente imputabile. Questo comporta il divieto di qualsiasi forma di responsabilità oggettiva, cioè fondata sul dato della produzione materiale dell’evento causalmente collegato al comportamento dell’autore. Esistono, però, delle forme di responsabilità addebitate all’individuo che non ha materialmente commesso il fatto, si pensi alla cosiddetta “culpa in vigilando”, caso esemplificativo è quello del padrone di un cane che risponde penalmente per le ferite da morso procurate agli estranei.
“L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”, ciò è quanto stabilisce il secondo comma, dell’art. 27 Cost.. La condanna si considera “definitiva” solo quando non può più essere impugnata, o perché il giudizio ha percorso tutti i gradi di giudizio (appello e Cassazione) o perché sono scaduti i termini per proporre la relativa impugnazione. L’obiettivo di questo comma è di scongiurare che si possa considerare responsabile di un illecito penale una persona che è solamente sottoposta ad indagini o venga imputata in un processo non ancora terminato. Si tratta di un principio di civiltà giuridica.
Di rilevante importanza è il terzo comma dell’art. 27 Cost. che statuisce: “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. In sede di Assemblea Costituente, il terzo comma è stato tanto dibattuto. Nella prima sottocommissione, ci si trovò subito d’accordo in ordine ai “limiti negativi” della pena, ossia all’impossibilità di infliggere trattamenti contrari al senso di umanità. Più problematico è stato il diverso tema della funzione rieducativa della sanzione penale, soprattutto dal punto di vista filosofico. Si arrivò ad una formulazione definiva che fu il frutto di un patto tra l’esigenza di non prendere posizioni filosofiche sulla funzione della pena e l’esigenza di garantire comunque una possibilità di rieducazione al condannato. In seno a tale comma è stato precisato dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n. 264/1974 (riguardo la pena perpetua, vale a dire l’ergastolo), che la funzione della pena non è solo rieducativa, ma anche general-preventiva (pena intesa come deterrente per i soggetti di delinquere) e special-preventiva (deterrente nei confronti dello stesso condannato al fine di evitare altri comportamenti in violazione della legge). Il comma esaminato è un monito per il legislatore affinché non applichi pene degradanti ai condannati ed inoltre si impegni a reintrodurre i rei all’interno della sfera sociale, rieducandoli.
Ultimo comma, non meno importante, dell’articolo esaminato annuncia che: “non è ammessa la pena di morte”, inciso molto breve, ma allo stesso tempo preciso, che prevede l’assoluta negazione di una pena capitale, contraria a qualsiasi senso di umanità ed inaccettabile per uno Stato democratico. Inoltre tale pena sarebbe completamente incompatibile con la finalità rieducativa della pena di cui parla lo stesso articolo 27.

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