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“La dolciera siciliana” di Annamaria Zizza…di Domenico Pisana

Una parte del romanzo è ambientata a Modica. Protagonista è Maria, per la quale i dolci diventano una medicina, un “remedium doloris”, come i libri
Tempo di lettura: 2 minuti

Un romanzo di spiccato fascino e con una circolare ambientazione tra Lombardia e Sicilia, si presenta al lettore “La dolciera siciliana”, edito da Marlin, del quale è autrice la catanese Annamaria Zizza.
Era il 23 agosto 2023 e incontro nel bel salotto di Corso Umberto di Modica Annamaria Zizza, che durante una gradevole conversazione, ricca di umanità e di contenuti, mi preannuncia che stava lavorando ad un romanzo storico che avrebbe avuto un’ambientazione anche nella città della Contea.
Annamaria Zizza è una scrittrice catanese, docente di Lettere del Liceo Classico Statale “Gulli e Pennisi” di Acireale, collabora con la rivista “Tecnica della Scuola” e la rivista di Egittologia e archeologia “Mediterraneo antico”. Mi sono occupato di lei in due puntate della mia Rubrica egiziana “Poesia e letteratura” che va in onda sul canale You Tube dell’Associazione Egitto ora, presentando due suoi bellissimi romanzi storici “Lo scriba e il faraone” e “La regina di Tebe”. Quest’ultimo romanzo porta nella quarta di copertina una nota della scrittrice Dacia Maraini che lo definisce “un romanzo singolare sulla storia di due imperi e di due donne, Ankhesénamon e Malnìgal, storicamente lontane da noi, ma vicine per coraggio e determinazione”.
Il romanzo di cui Annamaria Zizza mi parlava nell’ incontro dello scorso anno è adesso uscito nel mese di maggio, con il titolo “La dolciera siciliana”. Nella città di Modica è ambientata parte della storia della protagonista Maria, un’orfana di dodici anni che nella prima metà del settecento fugge dal Reclusorio del Santissimo Rosario. Vittima di uno stupro, è Tommaso Campailla, medico e filosofo, a prendersi cura della ragazzina accogliendola in casa propria come “criata”, domestica. Lei diventerà una bravissima dolciera. Alla morte del suo padrone, viene licenziata. Parte per Catania, travestita da uomo, per prestare servizio come cuoco nel Palazzo della principessa di Valguarnera. Sempre a Catania incontra il giovane poeta lombardo, Giuseppe Ripetti, precettore e ospite del principe Vincenzo di Valguarnera. Maria, con il tempo, saprà indossare i suoi passi e trovare la sua strada.

Annamaria Zizza, questo tuo nuovo romanzo storico ruota attorno a scenari incastonati in Lombardia e in Sicilia nella prima metà del Settecento. Relativamente alla Sicilia Orientale c’è, oltre Catania, anche Modica. Vuoi dirci come nasce l’idea di ambientare parte del tuo romanzo a Modica?

L’idea di ambientare parte del mio romanzo a Modica nasce dall’amore per la Contea. Amore nato quando studiai la storia medioevale all’Università e mi imbattei in Bernardo Cabrera e amore rinnovato dalle tante volte che la visitai.
Solo che nell’aprile dello scorso anno notai qualcosa che non potevo non avere visto precedentemente e che pure non ricordavo: il Sifilicomio intitolato a Tommaso Campailla. Volli visitarlo ma era chiuso. Le porte chiuse mi affascinano da sempre, scatenano l’immaginazione. E io di immaginazione ne ho tanta. Riflettei a quante lacrime, a quanto dolore, a quanta speranza dovevano essere passate a Santa Maria della Pietà, tra quelle mura apparentemente indifferenti. Il mese dopo tornai e lo visitai. Il resto venne da sé.

Parlaci di Maria, di questa bravissima dolciera, la cui storia si snoda a Modica tra vicende di violenze subite, l’assistenza del grande medico e filosofo Tommaso Campailla, per poi trasferirsi a Catania travestita da uomo per prestare servizio come cuoco nel Palazzo della principessa di Valguarnera.

Maria appartiene alla categoria delle reiette, delle emarginate di tanta letteratura, anche d’appendice, che hanno il pregio di essere aperte al cambiamento, ad una vita potenzialmente nuova e non condizionata, se non dallo stigma della nascita e, nel suo caso, anche dello stupro e della sifilide contratta a seguito della violenza.
E’ una ragazzina di dodici anni, all’inizio della storia, che però conosce il dolore: quello del vuoto familiare, della morte di un’amica cara, dell’emarginazione sociale. Ha imparato a scrivere e a leggere al Reclusorio e Campailla la educherà, prima per sfida, poi perché ne intuisce l’intelligenza vivace.
La sua rinascita passerà dai dolci e dai libri di medicina. I dolci sono una medicina, un remedium doloris, come i libri. A Catania incontrerà un’altra figura a cui ho dato una forte impronta “caritatevole” – per citare Costanza Di Quattro che ha scritto la prefazione al mio romanzo – come quella di Campailla: Vincenzo di Valguarnera, Maria vi andrà travestita da uomo, perché segnata dal trauma e perché vuole nascondere la femminilità, prima a se stessa e poi agli altri. E infatti il primo incontro con l’amore-dolore ce l’avrà durante la festa del Santo Chiodo.

Con questa dolciera cosa vuoi rappresentare. Questa Maria del ‘700 ha riverberi nella nostra contemporaneità, pone domande, fa riflettere su aspetti dell’esistenza, e quali?

Il mio è un romanzo storico dove si incontrano il sacro e il profano, ma il genere letterario si presta benissimo alla narrazione del presente. Detesto lanciare messaggi, ma semmai esprimere la mia visione attuale della vita, il mio temporaneo approdo. Penso che il male sia occasione di rinascita e che bisogna accoglierlo come espressione del Divino, solo che ce ne rendiamo conto dopo. Maria non si rassegna al Male ma combatte con la tutta la fede che la anima: fede in Dio, fede in se stessa, fede in quella parte di umanità sensibile al dolore altrui. Rara, ma che esiste. Sa cogliere i “segni”, espressione di un disegno provvidenziale, e per questo, nonostante i momenti di sconforto, riesce a risollevarsi dai momenti più bui. Ricostruirsi, come hanno saputo fare i siciliani dopo il devastante terremoto del 1693, ricostruendo palazzi e case e rapporti sfilacciati o inesistenti. Impara sempre, Maria soprattutto dalle sconfitte, dalle lacrime versate.
Un argomento a me caro, l’etica della sconfitta, dolorosa ma indispensabile. E’ quello che cerco di insegnare con fatica ai miei alunni. E infine credo che ognuno abbia un talento, un dono: il difficile è individuarlo, leggerci dentro con pazienza e umiltà. Due qualità rare oggi.

Del talento femminile di Maria, che perfino Campailla apprezza, cosa metti in risalto nel tuo romanzo?

Maria è una figura silenziosa, di poche parole. Si esprime con i dolci, perché la cucina, a parer mio, è atto d’amore. Ha connotati salvifici, è una Beatrice che però cede all’amore, che si nutre di impasti, di profumi, di spezie. E con questi si fonde, diventa tutt’uno. E’, la mia, un’idea di donna accogliente perché ha sofferto e comprende il dolore nell’altro, ci si immerge uscendo da Sé. Lo stesso accade per la cuoca Angioletta, che la prende sotto le sue ali di “mamma” accogliente e saggia, di guida nell’arte dolciaria e nella vita e le suggerisce di stare lontana dagli uomini. Perché sa quanto la fame d’amore e di carezze possa uccidere.

La dolciera siciliana” è senz’altro un romanzo da leggere; la sua protagonista vuole dire che nella vita non bisogna disperare, ma bisogna scommettersi perché c’è sempre quella goccia di luce che si desidera e che è la “voglia di riscatto”, di lottare, il desiderio di superare il limite, di sognare per ritrovare lo spazio di senso del proprio essere. Non bisogna soggiacere alla sconfitta: questa è l’inizio della ripresa.

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