
Ce l’ha fatta, Salvini, a salvarsi dalla mozione di sfiducia promossa dalle opposizioni per i suoi legami ambigui con il partito di Putin “Russia unita” con cui la Lega aveva sottoscritto un accordo nel 2017. Le felpe con la faccia dell’autocrate, le affermazioni su quanto sia sicura la vita a Mosca e dintorni, molto più che in qualsiasi altra capitale europea, le riserve sull’avvelenamento di Navalny ad opera del regime, “ci penseranno i giudici a fare chiarezza”, non sono dettagli insignificanti, confermano, anzi, quello che Salvini non solo non ha mai nascosto, ma di cui si è vantato, l’ammirazione per il “grande statista”. Sentimento da ingenui che coltivano il mito dell’uomo forte da assumere come modello, senza riuscire a prevedere le implicazioni rovinose, salvo ricredersi, forse, a catastrofe avvenuta. L’aggressione armata del 24 febbraio contro l’Ucraina, avrebbe cancellato ogni rapporto della Lega con il partito di Putin. E’ quanto Salvini ha dichiarato. “Vorremmo vedere Salvini mentre straccia il documento”, ha detto Claudia Fusani de Il Riformista, alludendo al rinnovato accordo di collaborazione nel 2022 in piena invasione ucraina. Il gesto fugherebbe ogni dubbio, benché, alla fin fine, siano i fatti a contare, ha detto Foti, capogruppo di FdI alla Camera dei deputati. Pur avendo ribadito che la maggioranza non è una caserma e al suo interno ci sono differenze di opinione, Salvini ha sempre votato con gli alleati a favore dell’invio di aiuti e armi all’Ucraina. Giustificazione troppo facile che non cancella con un colpo di spugna i trascorsi, parlare di aggressori senza farne i nomi, Putin e la Russia, dire di stare dalla parte degli aggrediti e contemporaneamente ignorarne la lotta disperata per la libertà parlando di pace e sapendo che pace significa resa. La guerra in Ucraina, come quella a Gaza, entrambe provocate dagli aggressori, impongono una scelta chiara, da una parte o dall’altra. Guardandosi intorno, l’ambiguità poco eroica di Salvini rispecchia l’ambiguità del paese, del mondo cattolico e della sinistra, uniti nel caldo abbraccio cattocomunista, nel cinismo di fondo e nell’opportunismo, fusi nel pacifismo peloso che suggerisce meno soldi a Kyiv uguale più soldi per noi. A discolpa del segretario della Lega nonché vicepremier, il fatto che nessun cittadino europeo sia andato in piazza quando Mosca iniziò l’invasione. “I propositi di collaborazione del 2017 tra la Lega e Russia unita non hanno più valore dopo il 24 febbraio”, ha confermato Salvini. Con convinzione? Poco importa. Il ravvedimento non cambia l’immagine che ha dato di sé, né mette a tacere le critiche sulla sua credibilità da parte di molti all’interno del suo partito. Il sovranismo suicida, i giudizi avventati e estremi, inopportuni e controproducenti se si fa parte della coalizione di governo, possono appagare qualche testa vuota o troppo calda tra gli elettori e qualche collega di partito, ma allontanano coloro che nella Lega, e sono la maggioranza, hanno posizioni più equilibrate. I governatori e gli amministratori del nord, che hanno forti legami territoriali e hanno dimostrato attenzione e capacità gestionali, la vera forza del partito che ne ha determinato l’alto consenso negli anni, sentono che i tempi sono maturi per una nuova leadership.