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CGIL. “Gli Asu e la stabilizzazione. Basta giochetti politici”

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La questione della stabilizzazione degli Asu da qualche tempo è assurta a pubblica assunzione di impegno da parte di importanti esponenti politici che, a ogni piè sospinto, comunicano urbi ed orbi che stanno, grazie a loro impegno di legislatori regionali, provvedendo a definire le misure normative per consentire agli Enti utilizzatori di questi lavoratori di poterli finalmente stabilizzare, attraverso la loro assunzione a tempo indeterminato nei ranghi degli enti pubblici.

Da più di un anno a questa parte, da quando si è insediato il nuovo Parlamento regionale, a seguito delle elezioni, a questi lavoratori, divenuti da tempo importanti all’interno degli enti ove lavorano, viene fatta vedere come a portata di mano la loro definitiva collocazione lavorativa. Eppure, ancora oggi, pur essendo vigente la norma nazionale che consente la stabilizzazione dei precari che hanno conseguito determinati requisiti, per gli asu, quelli a carico del fondo regionale, non si intravede ancora niente all’orizzonte. Solo pubbliche enunciazioni di principi che solitamente vengono resi globali nei social in coincidenza con qualche tornata elettorale. Fin qui è storia quotidiana, e nessun potrà smentire ciò che asseriamo. Il punto è che non si può più attendere inerti di fronte ad una problematica interessante in Sicilia quasi 4.000 unità asu, che da almeno un ventennio sono state lasciate lì a dare un contributo non indifferente alle esigenze degli Enti, ma senza essere considerati e trattati come veri e propri dipendenti.

“Ora – dicono per r la Cgil di Ragusa Salvatore Terranova e per la F.P. Cgil di Ragusa Nunzio Fernandez -pensiamo non sia più procrastinabile l’urgenza di intervenire, a cominciare, innanzitutto, dismettendo questi giochetti della politica, che su questo ha fin troppo speculato elettoralmente e ancora di più sulla sofferenza psico-fisica e di prospettiva di vita di questi lavoratori. La Regione deve costruire, nel brevissimo tempo, una norma di legge che consenta, senza incappare in impugnazioni da parte delle Istituzioni preposte, in maniera chiara e fattibile l’avvio dei percorsi di stabilizzazione degli asu all’interno degli enti utilizzatori, chiudendo così un segmento di precariato che risulta ancora più intollerabile proprio perché si consuma dentro enti pubblici. È un brutto esempio generale se il precariato viene legittimato, o con norme inadeguate o perché non disciplinato da leggi, dentro le nostre istituzioni, perché ciò potrebbe apparire come un segnale di tollerabilità nei confronti di atteggiamenti e comportamenti dissacranti della cultura del lavoro e del rispetto umano in altri diversi altri contesti lavorativi. Non possono essere le nostre Istituzioni pubbliche, utilizzatrici di personale asu, a rischiare di passare come implicito esempio per quanti nelle loro intraprese pensano che, se si può lavorare nel pubblico senza contratto e senza previsione del pagamento dei contributi, lo si debba poter fare anche nel privato. Purtroppo, oggi è ciò si fa e anche misure elaborate per cercare di fare incrociare domanda ed offerta, in particolare per agevolare la occupazione giovanile, tendono a pervadere il mercato del lavoro di forme di lavoro che tali non potrebbero e dovrebbero essere.

È obbligo del legislatore eliminare questi esempi cattivi ed emulativi che tanto danno possono arrecare ad un tessuto economico e ad un mercato del lavoro che in Italia manifestano un forte fastidio per il rispetto delle regole, delle leggi e dei contratti collettivi.

La Regione Sicilia – continuano i due sindacalisti – deve accollarsi la responsabilità, sulla scorta delle precedenti esperienze di stabilizzazione, di mettere su una norma che consenta di immettere tale personale asu a tempo indeterminato negli enti, aiutando quest’ultimi con un contributo regionale pluriennale, senza il quale nessun ente è nelle condizioni per assumere e qualora lo fosse in condizione non assumerebbe comunque senza il contributo. Attualmente la Regione agli Asu paga sia il sussidio mensili e di 600 euro sia l’integrazione oraria di 16 ore settimanali, se tale costo verrà trasformato in contributo regionale agli agenti si aprirebbero le porte per la loro stabilizzazione.

Se minimamente si tiene in debito conto le difficili condizioni economico-finanziarie di moltissimi enti locali e altri enti pubblici, il contributo regionale pluriennale diventa essenziale.

Se qualcuno vuole intestarsi politicamente questa battaglia lo faccia pure, purché con fatti concreti e realizzazioni normative adeguate, se no tutto verrà derubricato a chiacchiera da bar”.

 

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