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L’ora legale – Pillole di Costituzione a cura di Piergiorgio Ricca

Siamo veramente tutti uguali? Ebbene sì.
Tempo di lettura: 2 minuti

Il terzo articolo della nostra Carta Fondamentale si occupa del principio di eguaglianza, nelle sue due declinazioni di uguaglianza formale ed uguaglianza sostanziale.
Il primo comma dell’art. 3 Cost. enuncia che: “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Tale comma intende un principio di eguaglianza in senso formale, secondo il quale tutti sono uguali dinanzi alla legge e detta sei tassativi divieti di discriminazione. In primis, fa riferimento al divieto di discriminazione in base al sesso, equiparando, alla stessa stregua, sia l’uomo che la donna. In secondo luogo, il divieto di discriminazione viene fondato sulla razza, considerato un divieto di carattere assoluto, vale a dire, senza deroghe. Altro importante divieto è quello di discriminazione per motivi linguistici, trovando espressa coscienza nel pluralismo etnico ed affiancando l’obbligo per la Repubblica di tutelare le minoranze linguistiche. Piena parità la si riconosce anche con il quarto divieto posto dall’art. 3, primo comma, Cost., che vieta qualsiasi tipo di discriminazione per motivi religiosi, qualunque sia la fede professata ed anche se non credenti. Gli ultimi due divieti riguardano l’uguaglianza in ragione delle proprie opinioni politiche, corollario del principio di manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.) e la parificazione in base alle condizioni personali e sociali, considerata come “norma di chiusura” del principio di uguaglianza, con applicazione residuale.
Il secondo comma dell’art. 3 dello “Statuto” contiene la proclamazione del principio di eguaglianza sostanziale, stabilendo che: “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Qui entriamo nel vivo della questione, con l’obiettivo, a carico dello Stato, di eliminare le disuguaglianze tra cittadini e rendere possibile l’effettivo godimento dei diritti da parte dei singoli. Il concetto di uguaglianza, però, non va confuso con la nozione di equità, entrambi collaborano, ma devono rimanere distinti. Il primo (uguaglianza) deve essere considerato come il “punto di partenza” e significa trattare tutti allo stesso modo. Nel pratico, però, questo approccio non funziona per tutti. Non tutte le persone infatti hanno la stessa condizione di partenza. Ed è qui che entra in gioco l’equità, inteso come “punto di arrivo”, cioè dare a tutti ciò di cui hanno bisogno per affermarsi. Significa, quindi, distinguere e fronteggiare le discrepanze di origine, identità e le caratteristiche personali per garantire che tutti abbiano il sostegno necessario per avere successo.
L’ambito soggettivo di applicazione del terzo articolo della nostra Carta Costituzionale non si riferisce solamente ai cittadini, vale a dire a coloro che hanno la cittadinanza italiana, ma, deve preferirsi un’applicazione sistematica, che sancisce il riconoscimento dei diritti di uguaglianza “all’uomo”, includendo anche gli stranieri e gli apolidi (coloro che sono privi di cittadinanza).

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