
Tra naufragio e speranza, Europa Edizioni, Roma, si presenta come una spietata analisi del mondo contemporaneo e delle sue contraddizioni, evolvendo in una sorta di poema didascalico che intende, attraverso un impegno spirituale, etico e civile, indicare una via di salvezza.
La struttura compatta del testo, l’andamento poematico della scrittura propongono la narrazione dettagliata di un viaggio – che è quello umano nel mondo – con tutta la tenacia che richiede il superamento delle prove.
Che di un viaggio si tratti è palesato da chiari indizi disseminati nell’opera, le cui sezioni segnano tappe ben definite. “Pensavamo di avere la terra sotto i piedi / invece si è in mare aperto” – dice il poeta – che sperimenta il suo destino di naufrago, nella ricerca di un approdo. Un viaggio di navigazione e di mare, quindi, ancora più incerto e periglioso.
L’attraversamento è al buio: “l’angoscia e la notte avvolgono l’anima disancorata” e la mèta del nuovo Ulisse non è Itaca. L’unico punto fermo sembra essere la luce. Una luce tutta terrena, vacillante, fioca, che permette di orientarsi nelle tenebre e una Luce maiuscola, il faro che indica l’approdo: la luce della fede, che in Dio ha il suo punto fermo. Ma l’umanità crede di non aver bisogno della luce divina, sicché si assiste ad un nuovo Esodo: quello di Dio dalla vita.
L’odissea umana del poeta si dispiega in una lotta pressoché interminata nel dimostrare come le certezze del progresso siano illusorie. Si sottolinea il limite della ragione e del sapere, che mostrano “oltre l’apparire il nulla e il buio”, la “follia di onnipotenza”, la “fragilità delle ideologie”, “la verità senza verità”.
Il poeta sperimenta la solitudine e l’impotenza contro l’egoismo, l’indifferenza, l’ingiustizia, la falsità, la paura, ma scopre di avere uno strumento di salvezza: la parola, che accende la speranza. Anche in questo caso si affrontano due opposti: la parola tutta umana, che “parla senza parlare” e il Logos, la “Parola che parla per intero”.
Il poeta si fa muto, invoca la Parola che salva, si pone in atteggiamento di umiltà, si fa strumento di amore, spera che la sua parola riesca a raggiungere i cuori spenti, ad arrampicarsi come edera tenace. Vorrebbe scuotere l’altro con un abbraccio, allontanare l’estraneità e l’egoismo.
Tutto il poema si legge come un attraversamento nella complessità dell’animo umano e della contemporaneità, che vede il poeta impegnato a trasformare le coscienze, a portare in una vita senza Dio “il delicato profumo della Presenza di Dio”.
L’ultimo canto, Verso l’Aurora, indica la mèta cui l’umanità dovrebbe tendere: quell’armonia universale fatta di Amore e di Gioia: “E’ tempo di attingere briciole di gioia dal pozzo”.
Tra l’infinito altissimo e l’abisso del male è la vita che si dibatte – il dolore del poeta che vede il mondo precipitare nei disastri causati dall’incoscienza umana e la consapevolezza dell’inermità della sua parola, che tenta di indicare una via di salvezza -.
Maria Benedetta Cerro
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Maria Benedetta Cerro risiede a Castrocielo in provincia di Frosinone; dal 1984 ad oggi ha pubblicato 10 raccolte poetiche, tra le quali si segnalano Allegorie d’inverno ( 2003), finalista al Premio Frascati “Antonio Seccareccia”; Regalità della luce (Sciascia 2009); La congiura degli opposti (LietoColle 2012), Premio “Città di Arce”; Lo sguardo inverso (LietoColle 2018); La soglia e l’incontro (Edizioni Eva 2018).
1 commento su “La poesia di Pisana in “Tra naufragio e speranza” di Maria Cerro”
Bisognerebbe indagare perché oggigiorno non si riesce entrare nelle dimensioni spirituali del vivere, se non in quelle esoteriche e svianti. Perché ci si ostina a credere da parte dei più che tutto è materia ciò che esiste e che siamo solo corpo e non spirito.