Cerca
Close this search box.

Il “naufragio” del nostro tempo nella poesia di Domenico Pisana

Tempo di lettura: 2 minuti

Personalità a largo spettro, di grande impegno spirituale, etico e civile, Domenico Pisana affronta, in questa sua silloge poetica, gli eterni grandi temi dell’esistenza che, calati nel contesto socio-culturale della contemporaneità, consegnano al lettore, in una prospettiva di drammatica consapevolezza, il naufragio dell’uomo.
L’ossessione tecnologica, l’arrivismo sconsiderato, la corsa al possedere e all’apparire, la volontà prevaricatrice e truffaldina, la finzione, la disonestà, l’egoismo, la mancanza di rispetto e di amore verso l’altro, sembrano infatti i disperati contrassegni della attuale civiltà, come suggestivamente recita l’epigrafe di apertura: La terra irrimediabilmente illuminata risplende di inesorabile sventura (Horkeimer e Adorno).
Il dominio dei lumi, del cosiddetto progresso scientifico, nel suo arrogante strapotere, ha provocato una serie di sconvolgimenti ambientali, ma soprattutto morali e sociali, che poco spazio lasciano alle illusioni di un miglioramento generato dalle Magnifiche sorti e progressive (già colpite dall’amaro sarcasmo di Leopardi nella Ginestra). Anzi.
Lo scire scientifico, separato dal sapere (da quella sapienza che è umile saggezza ed esperienza concreta della vita) non può produrre trasformazioni positive per l’esistenza. Lasciando divaricati i due termini, si giunge non all’uso ma all’abuso della scienza, dove la tecnica, mitizzata, si muta in uno strumento che non è più a favore dell’uomo ma contro l’uomo. L’azzeramento di quel verace sapere, che Leopardi riteneva fondamentale per una autentica promozione e crescita dell’umanità, non può che produrre sventura. La complessità dell’animo e della vita umana, anche per l’ateo Leopardi, non può ridursi in un meccanismo asfittico di azioni, programmate, tutte, per le cose: da ottenere, da possedere, da esibire.
Nella corsa tecnologica e consumistica, l’uomo, svilito egli stesso ad oggetto, ha perso la sua dignità di persona. Smarrito in una storia tutta orizzontale, sembra aver dimenticato e annullato la verticalità dei valori spirituali.
Questo è lo status che, con lucido, sconsolato disincanto, Pisana affronta nel suo discorso lirico, denunciando il naufragio dello spirito, preda di un nuovo e diverso malessere che strangola la società ormai polverizzata in individui che sono solitari atomi mediatici, rivelando la pochezza e la pericolosità degli attuali miti, dannosi e soprattutto insufficienti ad offrire alternative alla condizione di nudità ontologica dell’uomo.
Da qui le ragioni del titolo della silloge ─ Tra naufragio e speranza ─ ma anche le motivazioni della sua complessa articolazione che punta alla dimensione poematica, connessa con la volontà di proporre una visione del mondo allargata su spazi planetari e su condizioni esistenziali universali, sospese tra il contingente e l’eterno.
La struttura della raccolta, suddivisa in quattro sezioni, appare scandita da epigrafi che riverberano una intensa suggestione sulle poesie, divenendone quasi la cifra epifanica. La valenza semantica di queste epigrafi iniziali si lega alla potenza significante delle parole di scrittori che hanno meditato a lungo sull’esistenza umana, lasciando nei loro scritti il segno di una profonda riflessione sull’Essere, quella stessa che permea, facendola sorgere dalle fibre di una forte passione morale, la poesia di Pisana.
Non è senza significato, allora, che la prima sezione non abbia un titolo preciso e utilizzi, come indicazione di lettura, solo la citazione di Horkeimer e Adorno ─ La terra irrimediabilmente illuminata risplende di inesorabile sventura ─ quasi a testimoniare l’impossibilità di chiudere, entro termini precisi, lo spettacolo del mondo contemporaneo, sfuggente, indefinibile, desolante luogo di una sventura senza fine, di un naufragio aperto a dinamismi ingovernabili, non per nulla sfocianti nella notte oscura dell’anima, come indica l’emblematico titolo del secondo paragrafo: ED ORA, LA NOTTE. Né è un caso che sia Lucrezio, il più intenso e tragico poeta-filosofo dell’antichità, a fornire a Pisana la drammatica e affascinante epigrafe di un itinerario lirico dominato dal buio: La vita è una lunga battaglia nelle tenebre.
Ma la terza parte, Verso l’aurora, auspice Kahlil Gibran ─ Non si può toccare l’alba se non si sono percorsi i sentieri della notte ─ sembra aprirsi ad una nuova ipotesi per resistere all’offuscamento totale, al sogno di una possibile speranza.
“Sognando la speranza” è il confortante titolo dell’ultima sezione, introdotta da una frase di G. Bernanos: La speranza è una virtù, una determinazione eroica dell’anima. La più alta forma della speranza è la disperazione vinta, ci fa pensare che, anche dal buio più profondo, può riaffiorare la speranza.
Se, come diceva già il Leopardi, “la disperazione medesima contiene la speranza”, la silloge Tra naufragio e speranza si chiude con un irriducibile slancio verso l’utopia di una umanità salvata da un’altra più calda e consolante luce: quella della fede nel Cristo.
Anche soltanto dall’analisi della struttura esteriore della raccolta, organizzata con calibrata sapienza costruttiva, si evince che ci troviamo di fronte ad un lavoro di ampio respiro lirico, sorretto da un vigoroso impianto speculativo, da un’istanza spirituale che vuole recuperare, contro l’arroganza della sola ragione, (che ha fallito il suo scopo, che non ha migliorato l’umanità, destinandola al naufragio e alla perdita di sé) i valori dello spirito e della fede. Si comprende facilmente, da quanto sin qui detto, come la poesia di Pisana non possa prevedere un solipsistico ripiegamento dell’io su se stesso e non possa adagiarsi in un andamento lirico cullante e melodico, ma possieda piuttosto un movimento ritmico densamente prosastico entro il quale si snoda la meditazione sul mondo e sulla società di oggi, in una disamina acre e sconsolata che si accende spesso in immagini e metafore di icasticità espressionistica
Si leggano per esempio le sottocitate poesie, dove il vigore del linguaggio e delle metafore si impone come un tutto tondo scultoreo e dove la luce, parola chiave di tutta la silloge, invece di portare gioia, montalianamente, denuda, scava, illumina, soltanto la sventura:

La luce s’è chinata sulla realtà sensibile.
Ha baciato i filamenti del cuore,
racchiuso il destino nelle nostre mani:
ci ha separati gli uni dagli altri
e i suoi raggi rivestiti di emancipazione
ci hanno resi signori della vita e della morte.

Abbiamo intrapreso una folle corsa
per uccidere Dio e impadronirci del cosmo
e ora è notte fonda, fa freddo,
siamo caduti nel vuoto privo di luce.
Cerco la Lanterna perché la terra
illuminata di luce
risplende di “inesorabile sventura”.

La luce illusoria e arrogante della ragione ha sostituito la follia dei lumi ai valori umani e al senso dello spirito, negando la Vera luce, apparsa nell’umiltà di una grotta:

Nella luce che si vanta dell’assenza di Dio
m’inebrio di Luce ─
la mia vita ha bisogno dell’umiltà del calore
generato nella grotta del bambino.

Dove la ragione non ha conosciuto limite
sistemi totali hanno innalzato i loro idoli
suonando la tromba della verità.

Ci ha fatto sognare nuove terre,
ci ha fatto toccare nuovi cieli
luoghi eterni edulcorati di benessere:
al mattino uomini e donne gettavano le reti
per ubriacarsi di luce
e diventare padroni del presente e del domani.

E invece portiamo nel cuore
vite macchiate di sangue:
paghiamo l’ebbrezza di luce consumata
sull’altare privo della Luce.

Ora è tempo di ritrovare
il limite dei lumi invasi d’assoluto
e di lasciare alle spalle
racconti di violenza ove la follia
ha regnato per lungo tempo come angelo di luce.

Alcuni stilemi, la cui potenza e corposità corrispondono all’esigenza di un’espressività ulcerata e risentita, sono speculari alla forte indignazione e lacerazione dell’anima di chi assiste, impotente, al degrado della dignità umana.
Questi stilemi, presenti in quasi tutte le poesie, (l’elenco potrebbe essere lungo!) sono spie segnaletiche della densità del vissuto di Pisana che, non a caso, si affida anche a figure retoriche particolarmente efficaci, come l’iterazione, la geminazione (conoscibili inconoscibili ─ ammalia ammaliando ─ sogno sognato) e la costruzione denominale, che puntano decisamente al rafforzamento emotivo e concettuale.
Si imprimono così nel lettore, con perentoria incisività, immagini difficilmente dimenticabili: mani di arroganza ─ le orecchie stuprate di piacere ─ Il mare in tempesta ha vomitato i resti di pochi valori usciti indenni dalle acque ─ La risacca ha inghiottito i sentimenti ─ ci ha ridotti a moderni aguzzini di una nuova macelleria sociale ─ l’aria respira veleni spacciati per odorose essenze di democrazia ─ Come vorrei denudare il volto di questo ladro di menti ─ Il tempo non ha arrugginito questo chiodo inossidabile alla tua calamita.
In particolare, espressioni come orecchie stuprate di piacere ─ macelleria sociale ─ ladro di menti, sono il veicolo di una passione che ha raggiunto il suo colmo, come confermano, lungo tutto il dipanarsi della silloge, originali metafore dal lessico duro, violento, spesso legate da accostamenti arditi e ossimorici, da inedite sinestesie(il rumore del silenzio).

Siamo sprofondati nella notte.
Le certezze si sono liquefatte lungo i sentieri
della debolezza mascherata di forza,
la ragione s’è frantumata lentamente
tra le pieghe del muro graffiato da mani d’arroganza.

Siamo stati sedotti dalle magie della solitudine,
e vedo sempre più giovani e vecchi consumare le giornate
come in un terra d’esilio, lontani dalla nostalgia
che ha il sapore del tempo costellato di sogni.
Tutto si è accasato nella notte vanificando i desideri.

Sono qui ad osservare il naufragio,
disvalori che emergono dai fondali dell’oceano
s’addensano all’orizzonte come nubi,
la loro sirena ammalia ammaliando di morte.

Io guardo lontano mentre osservo da vicino,
il mercato cambia l’amore in prostituzione
la dignità è senza dignità
l’inferno è diventato paradiso
e il paradiso sogno sognato da bigotti di ventura.

Nel corso della silloge, pur non venendo mai meno l’energia concettuale e la vis emozionale, si assiste anche al lievitare delle immagini e del linguaggio in direzioni che cercano la dolcezza immaginativa ed espressiva. Queste qualità, che caratterizzano soprattutto la terza e la quarta sezione, già sono presenti, come urgente bisogno d’amore e di infinito, anche nella sezione Ed ora la notte.
Si veda per esempio questo passo, dove l’immagine dell’estate ─ il sapore del pesco indorato le onde marine vezzeggiano con il sole che gioca sull’acqua ─ si impone diffondendosi come un profumo presago di speranza:

Oggi l’estate ha bussato
alla mia porta
portandomi il sapore del pesco indorato,
le onde marine vezzeggiano
con il sole che gioca sull’acqua.

Ora è tempo d’inebriarmi d’istanti
cullato sul divano dei sogni
e di riempire la bisaccia
della mia esistenza
in quest’ansia di infinito dove l’istante è la nostra possibilità.

In particolare, si vedano alcune liriche della sezione Verso l’aurora, che ribadendo le modalità di scrittura già osservate, iterazioni, geminazioni, tautologie (Il tempo è senza tempo in queste ore del giorno… E ora che gli anni avanzano, io li spendo per gioie che mi fanno gioire senza darmi gioia… mi faccio dono di un dono da donare) si schiudono ad una diversa disposizione dell’anima che, accogliendo un’altra Luce piena di Amore, (non più solo quella della folle ragione dei lumi!) riesce a percepire un quotidiano che ha pareti luminose nell’aria che odora di caffè:

Un raggio penetra luminose pareti
riscaldando l’aria che odora di caffè
nel caldo mattino d’agosto;
mi faccio dono di un dono da donare.
Finalmente ai ricordi narrati alle stelle
s’alterna un’ora reale che scorre come fiume in piena,
il cuore riassapora pagine scritte
sulla carne bruciata dal gelo dell’inverno.
Oggi respiro nell’aria il delicato profumo
della tua Presenza;
è come se il tempo
non fosse trascorso con le sue sudate sofferenze.

Da questa altra disponibilità d’animo, nasce l’invito a cogliere la carezza del silenzio:

Cogli questa carezza di silenzio
e sfiorala. Non lasciarla nel vuoto!
Ho paura che rimanga inespressa
e si macchi del livore di parole.

No so se potrà trovare
riparo nelle tue fibre,
ma trasformarla in melodia sinfonica
per le tue orecchie ─ e scrutala.

Ho paura che il fiume delle parole
arrivi prima del mio silenzio
e invada la bellezza della parola non detta.

Anche se il rumore è forte
e rude è l’effetto
utilizza questa carezza
durante il fragore inutile ─ e scrutala.

Ecco allora finalmente liberarsi e innalzarsi il canto della speranza, mi fai sorgere speranze dalle pietre, nell’attesa di un miracolo:

In molti anni di freddo
abbiamo cantato su libertà sognate.
Ma non è mai stata uccisa, mio Infinito.
Hai cullato ogni onda della mia anima
nel tuo cuore.

Invisibile nelle cose visibili
mi fai sorgere speranze dalle pietre,
il calore da mani fredde,
l’amore dal muro di rovi.
Eravamo sicuri e dormivamo orgogliosi
su letti di certezze, e sognavamo
che aurora e tramonto fossero nostro possesso.
Ora, svegliati, ci troviamo
con le mani aperte in attesa del miracolo.

Ma il rinascere, pur tra macerie e brutture, della speranza, legato alla fede in Cristo-Dio, propone anche le precise linee di poetica di Pisana che, attraverso la poesia, vuole trasmettere un messaggio all’umanità intera, offrirle un mezzo di riscatto.
Per questo, alla poesia, è affidato, con suggestivo gioco sinestetico, il suono della speranza:

Il suono della speranza
si spande nell’aria irrespirabile
e offre timido nutrimento
alle orecchie incallite.

La sua voce libera di lacci
si alza squillante per tutto il cielo
di luna in luna, e diventa canto
tra il murmure di foglie verdi
nell’asciutta afa di luglio.

Questa crisi che tutto tracima
s’infiltra in cuori e pensieri,
in dolori e speranze nelle dimore umane;
ed è icona che sempre contamina
e preserva il mio canto di poeta.

Alla poesia, ancora, in un’ansia irriducibile di trascendenza, è demandato il compito di cercare l’eterno attraverso l’Eterno:

Inesorabile il destino del poeta
affannato nel suo bisogno d’eterno,
solo nel libro dell’Eterno forse troverà il suo nome.

Tutto ciò è testimoniato da Pisana anche nella riflessione sulla propria individuale pulsione lirica, carica di istanze spirituali e morali, in cui l’io si fa portavoce del senso del mondo, ritagliandosi lo spazio di un vaticinio di Speranza, per appropriarsi, oltre il naufragio, di una profetica ipotesi di Salvezza in Cristo.

Sempre nelle mie scritture
ho cercato te con la mia penna.
Mi ha condotto di pagina in pagina
e con essa mi sono ritagliato la mia parte
cercando e gridando la mia verità.

È stata la mia penna
che mi ha fatto trascrivere
tutto quello che ho amato,
mi ha svelato segrete doppiezze,
gemiti di pianto ha rinchiuso
nel gheriglio dell’anima.

Per ore e giorni mi provoca
fino a svelare misteri di trascendenza
del falso e del vero;
e, ora, alla cattedra di quale
giudice mi ha consegnato
in questo mio cammino di silenzi e turbamenti?

Pisana è, foscolianamente, consapevole che la morte distruggerà tutto, inghiottendo, nella notte del tempo, anche il canto del poeta; ma, se Una spugna cancellerà la memoria, il nome vivrà dentro il silenzio di un lume e l’immagine resisterà all’oblio:

Per alcune notti il tuo nome risuonerà a Itaca,
dove il tuo oblio sarà pane anche per Argo.
Inesorabile il destino del poeta
affannato nel suo bisogno d’eterno,
solo nel libro dell’Eterno forse troverà il suo nome.

Temo che anche Itaca mi consegnerà all’oblio,
lascerà cadere i miei versi come foglie smorte,
parole sofferte rimaste nel silenzio,
cumuli d’ansie anelanti all’Assoluto.

Forse la morte cancellerà ogni traccia,
l’impronta dei miei passi si coprirà di ragnatele,
il mio pensiero sfumerà nelle fibre della notte
e le parole si scioglieranno come eutanasia
all’ombra dell’imperdonabile clessidra.

Una spugna cancellerà la memoria
e il tuo nome vivrà dentro il silenzio di un lume,
inchinato sulla tomba sepolcrale
per dare il suo benvenuto.

Quest’immagine resisterà all’oblio:
rimarrà nel tempo
come ultima
offerta!

La direzione primaria della ricerca etica e poetica di Pisana rimane dunque l’approdo a Cristo, varco di speranza nelle stagioni delle solitudini, consolatore di tutte le disperate angosce della contemporaneità:

Il coro di voci squarcia l’aria avvolta nella festa
ognuno vive di solitudine propria,
originale scelta nel tempo dei clamori
vuoto riempito di nulla, surrogato al bisogno d’esserci.

Vorrei conoscere la tua solitudine, il pensiero fattosi carne
e vibrare dentro le carezze della Parola
uscita dalla solitudine per farsi solitudine
nella confusione delle voci
che ci illudono di stare insieme mentre tutto è solo.

Viviamo stagioni di solitudini,
le folle mutano come il tempo
e la solitudine rimane uguale a se stessa,
si apre il varco dell’indifferenza vestita di noia,
chi sta nella folla consuma illusioni di istanti che muoiono.

Se sono solo con me, se son solo nella folla
non sono solo con Te, verità trinitaria, esodo del Verbo in me,
luce invisibile sul mio visibile
varco di speranza nelle stagioni delle solitudini.

Da quanto fin qui detto, è ormai evidente che il valore aggiunto di questa poesia travalica il mero dato estetico e implica un giudizio critico che, al di là della originalità e della forza espressiva del linguaggio lirico di Pisana, non può non sottolineare, prioritariamente, l’anelito alla spiritualità, alla trascendenza, alla Verità, unici punti d’appoggio su cui far leva per poter salvare il mondo dal naufragio.
Il lettore sensibile ed avveduto, dunque, non potrà non accogliere la luce di speranza che emana dalla meditata e corposa silloge poetica di Domenico Pisana, uomo, prima ancora che scrittore, capace di vivere interamente il suo tempo, con dolore ma, soprattutto, con immenso, lacerato amore.

Graziella Corsinovi

__________________

Graziella Corsinovi è docente presso l’Università di Genova, Facoltà di Scienze della Formazione. Docente di Letteratura Italiana, di Storia del teatro e dello spettacolo, di Drammaturgia, di Storia della lingua italiana, di Grammatica italiana, ha al suo attivo numerose pubblicazioni su: Dante, Umanesimo (Marullo e Petrarca), Leopardi, Pirandello, D’Annunzio, Dino Campana, Pier Maria Rosso di San Secondo, Diego Fabbri, Mario Soldati, Eugenio Montale, Leonardo Sciascia, Natalia Ginzburg, e molti altri autori contemporanei. In qualità di specialista di Leopardi e Pirandello ha partecipato a numerosi Congressi Nazionali ed Internazionali (Bonn, Barcellona, Bordeaux, Parigi, Toronto ecc.).
Nel 1992 è stata insignita, per l’ampiezza e l’originalità della produzione saggistica, del Premio Internazionale ─ Ultimo Novecento (nella stessa sessione, per il cinema, il premio è stato conferito a Pedro Almodovar); nel 2000 le è stata conferita la Pagina d’oro per la critica letteraria e nel 2001 il Premio Maestrale per essere tra le più rappresentative esponenti della cultura italiana.

 

495313
© Riproduzione riservata

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Articoli correlati

RTM per il cittadino

Hai qualcosa da segnalare? Invia una segnalazione in maniera completamente anonima alla redazione di RTM

SEGUICI
IL METEO
UTENTI IN LINEA
Scroll to Top