A distanza di 15 giorni dall’uscita del saggio letterario di Domenico Pisana, dal titolo “Sogno e disincanto”, Edizioni “Il cuscino di stelle”, dedicato a poeti stranieri tradotti in Italia, un’altra pubblicazione del poeta e scrittore modicano è approdata, dal 19 al 23 maggio scorsi, al Salone Internazionale del libro di Torino. Si tratta del volume “Pianeta donna. Poetesse italiane del 2000”, pagg. 215.
“Diciannove poetesse italiane – si afferma nella prefazione – sono protagoniste del saggio di Domenico Pisana, che esamina alcune tra le loro sillogi più rappresentative con grande cura e spirito critico. Ciascuna voce poetica si distingue sia per l’orientamento tematico dell’opera sia per una sua peculiare ricerca stilistica, e a ognuna Pisana dedica una disamina attenta che solo chi a sua volta conosce a fondo il linguaggio poetico può condurre”.
Domenico Pisana, come nasce questa pubblicazione?
E’ un volume che tende a fare emergere le principali coordinate motivazionali e le espressioni poetiche più rilevanti delle poetesse da me analizzate. Nasce come indagine sulla loro attività poetica che non è, certo, esaustiva, ma focalizza tratti contenutistici ed estetici, semiologici e linguistici della loro poetica in divenire.
Come sono state scelte le diciannove poetesse incluse nell’opera?
Bella domanda, e complessa! Io non ho seguito un “criterio antologico”, che è più semplice; esistono, infatti, testi nazionali e internazionali dove poeti e poetesse selezionate ve ne sono moltissimi, solo che vengono antologizzati con due poesie e una brevissima nota biografica: ciò, a mio giudizio, non fa emergere il senso di una poetica. Io ho voluto seguire un “criterio epistemologico”, proteso ad analizzare i fondamenti e la struttura teleologica di una o più opere delle autrici, per coglierne la dinamica noumenica interna.
Io credo, infatti, che la poesia contemporanea debba avere come suo statuto epistemologico due dati fondamentali: anzitutto il concetto di lirismo inteso non come chiusura in una torre d’avorio, ma come controllo delle emozioni in vista dell’espressione di una poetica, cioè di un pensiero che si fa spazio dentro l’insignificanza del nulla, e poi come possibilità di fissare stati della sensibilità al fine di esprimere globalmente la realtà cui il poeta si ispira; in secondo luogo, una rinascita classica da intendersi come trasformazione profonda interiore che solo una spiritualità e una consapevole gnoseologia unita alla sensibilità possono rendere possibile.
Io non ho selezionato poetesse quasi a dire sono le migliori, ma “sono inciampato nei loro versi”: o perché ho trovato interesse per qualche loro libro, o a seguito di occasioni varie: presentazioni di libri, convegni e conferenze, recensioni e prefazioni, reading poetici, approfondimenti vari su giornali e riviste. Ho scritto con la consapevolezza che i giudizi critici sono sempre relativi, atteso che – direbbe il buon Montale riprendendo Benedetto Croce – “l’opera del poeta è già perfetta nel cuore di chi l’ha concepita”; per cui la mia lettura ha obbedito solo al desiderio di dare voce a linguaggi, sentimenti e valori comuni di donne che sono presenti nel dibattito poetico italiano e che promuovono cultura nel quadro della loro diversità e delle loro scelte stilistiche, metriche e formali. In fondo ogni mia indagine critica tiene sempre conto di quanto diceva lo scrittore e poeta satirico inglese Alexander Pope, il quale affermava che “i nostri giudizi sono come i nostri orologi, i quali non si trovano mai d’accordo, ma ognuno di noi crede al suo”.
Una conferma, in tal senso, ci viene da grandi maestri della critica letteraria, come Natalino Sapegno e Francesco De Sanctis, i quali, ad esempio, parlando dell’Alfieri tracciano giudizi critici che si muovono in direzioni diverse. Il Sapegno scrive: “Poeta puro, al di fuori e al di sopra di tutte le ragioni e preoccupazioni letterarie fu l’Alfieri: la voce poetica più schietta e la più grande di tutto il secolo”(cfr. Compendio di Storia della letteratura italiana, Vol. II, Ed. La Nuova Italia, p.569).
Il De Sanctis, invece, giudica la poetica tragica dell’Alfieri “‘fredda e monotona’ perché in tanta esaltazione fittizia ti senti nel vuoto e perché fra tanti motti e sentenze memorabili non ricordi un solo personaggio” (cfr. Storia della Letteratura Italiana, Vol.II, Ed. Feltrinelli, 1978, p.820).
Ad ogni buon conto, per me leggere i libri delle diciannove poetesse è stato come entrare nell’anima di persone con una rilevante interiorità e dimensione intellettiva; al di là pregi e difetti sono convinto di quanto diceva Henry James, scrittore e critico letterario statunitense, noto per i suoi romanzi e i suoi racconti sul tema della coscienza e della moralità, e precisamente: “Meglio essere attaccato che passare inosservato. Perché la peggiore cosa che si possa fare a uno scrittore è non parlare delle sue opere”.
E’ mio stile, quando leggo libri di poesia o di narrativa, tenere poi presente quando sosteneva nel 1866 lo scrittore Luigi Settembrini nella sua opera “Lezioni di letteratura italiana”: “Ci sono due specie di critiche, l’una che s’ingegna più di scorgere i difetti, l’altra di rivelar le bellezze. A me piace più la seconda che nasce da amore, e vuol destare amore che è padre dell’arte; mentre l’altra mi pare che somigli a superbia, e sotto colore di cercare la verità distrugge tutto, e lascia l’anima sterile”. Nella poesia delle autrici da me analizzate nel libro, ho trovato molte bellezze che nascano dalla vita, e su queste ho voluto puntare l’attenzione, tralasciando aspetti meni convincenti e secondari. Naturalmente la lista era molto più lunga, ma avrei dovuto optare per il criterio antologico.
Che cosa accomuna le diciannove poetesse?
Sono poetesse che – come si afferma nella prefazione – “hanno piena coscienza dell’attualità e del presente storico in cui sono immerse, e anche quando si servono dei loro versi per scandagliare uno stato d’animo personale, sanno come risalire dal particolare all’universale, dimostrando una padronanza profonda dei loro strumenti espressivi e del linguaggio poetico. Per quanto possa essere difficile tracciare un filo conduttore tra opere e personalità così diverse, si può notare come sia sempre presente in ognuna di loro un forte anelito spirituale e la consapevolezza di abitare un tempo che pone parecchi interrogativi sul futuro dell’umanità, mettendo alla prova anche gli animi più speranzosi.”
Sono, a mio giudizio, poetesse che si distaccano da quell’onda di poca spiritualità che trovo a volte nella poesia contemporanea e che spesso si traduce in apparenza letteraria o artistica, nonché da certa dissacrazione della filologia che rispetto ma non comprendo, perché mi pare coincida con una mortale aridità. Qui, nelle opere delle poetesse scelte, trovo rispettate la lingua e il linguaggio (ed è presupposto irrinunciabile senza di cui crollerebbe il delicato congegno delle ipotesi teorico – estetiche), l’immaginazione, e ancor più le leggi del cuore; con il complemento di una socialità, vorrei dire, francescana, non viziata da costrizioni paradigmatiche, esaltata da una “simpatia” – e si badi all’etimo greco – che riconduce alle più alte vibrazioni della coscienza umana e cristiana.
Può dirci qualcosa delle poetesse inserite nel volume?
Le diciannove poetesse del mio libro, alcune delle quali conosciute personalmente e con cui ho significativi scambi culturali, sono: Laura Barone , Luisa Bolleri, Ester Cecere, Daniela Cecchini, Flaminia Cruciani, Adele Desideri, Sandra Guddo, Rita Iacomino, Maria Teresa Infante, Lidia Loguercio, Adriana Gloria Marigo, Serenella Menichetti, Cecilia Minisci, Antonella Montalbano, Iole Chessa Olivares, Claudia Piccinno, Giuseppina Rando, Cinzia Sciuto e Tina Ferreri Tiberio.
Le poetesse Barone, Cecchini, Guddo, Minisci e Ferreri Tiberio, ad esempio, sono state anche nella mia Modica o nei dintorni, in occasione di eventi poetici e manifestazioni varie; con Ester Cecere e Tina Ferreri Tiberio ho vissuto una bella esperienza in occasione della presentazione delle loro raccolte poetiche nella loro Puglia; con Iole Chessa Olivares e Maria Teresa Infante, che è l’anima del “Premio Internazionale Seneca”, ci siamo conosciuti al Caffè storico “Le Giubbe rosse” di Firenze; con Claudia Piccinno abbiamo partecipato a convegni e ad un reading poetico a Madrid, e con lei si è attivata una collaborazione vista la sua dimensione internazionale, essendo una affermata e nota traduttrice; con Lidia Loguercio è stato un reading poetico in Campania a farci incontrare, mentre con Cinzia Sciuto la presentazione della mia silloge poetica “Tra naufragio e speranza” presso l’Università di Catania. Con le poetesse Adele Desideri, Antonella Montalbano, Adriana Gloria Marigo, Flaminia Cruciani, Serenella Menichetti, Giuseppina Rando ci siamo conosciuti su Facebook e da qui è partita una corrispondenza e collaborazione. Ci tengo a sottolineare che si tratta di poetesse che si sono messe in evidenza non solo perché hanno pubblicato raccolte di poesie, ma per la loro testimonianza di impegno per la promozione della cultura con l’organizzazione di eventi, di incontri, reading, iniziative, premi di poesia, pubblicazioni e interviste su riviste e blog letterari.
Secondo lei, nel tempo resterà qualcosa delle poetesse del suo libro, dei tanti poeti e delle tante poetesse che in Italia scrivono poesie e pubblicano raccolte?
Quel che resta della poesia, secondo me, è la parola. Le novità passano, le tradizioni si superano, le avanguardie cessano, le correnti muoiono, gli stili si avvicendano, ma quel che rimane immutata è la parola come linguaggio detto in una situazione di vita.
Freud sosteneva che quando ci si trova di fronte ad un malato nevrotico, la medicina migliore per curarlo è la parola, e, prima di tutto, la sua. Oggi il grande malato è la società, è l’Europa, il mondo globalizzato, ed è possibile che i poeti e le poetesse siano tanti perché in qualche modo ogni uomo cerca una dimensione terapeutica nei confronti della nevrosi: la sua, la nostra, quello di ogni possibile interlocutore.
Se nei miti greci Apollo presiedeva alla medicina, alla poesia, all’arte e veniva considerato il dio della salute e della poesia, non deve oggi meravigliare che il poeta contemporaneo cerchi nella parola poetica una “terapia” per sé e per gli altri, non intesa, certo, psichicamente e in senso intimistico, ma come funzione di cura terapeutica e profetica per un malato in fase di declino: il nostro tempo.
Le poetesse del mio libro le ho percepite tutte donne che credono nella poesia; i loro versi potranno apparire ai lettori più o meno belli, ma sicuramente hanno a che fare con la realtà della persona sia nella sua singolarità che socialità, sia nella sua spiritualità che relazionalità, e non sono, dunque, atto di autoconsolazione senza senso e senza prospettiva, ma sono il risultato di una “poesia perlocutoria” che si fa linguaggio capace di influenzare percezioni, pensieri, comportamenti e dunque diventare canale di nuovo umanesimo, di trasformazione e cambiamento. E in questo senso le ringrazio per l’opportunità che mi hanno dato di leggere i loro versi.
Eleonora Sacco