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Il prima e il dopo…l’opinione di Rita Faletti

Tempo di lettura: 2 minuti

Il nord-est dell’Ucraina è semi distrutto dai bombardamenti russi e mentre la popolazione cerca una via di fuga con mezzi propri, a piedi, o stipandosi sui pochi treni a disposizione, Putin durante la lunga telefonata con Macron ha fatto capire che “Il peggio deve arrivare”. Questa guerra, impensabile solo un mese fa nell’Europa del benessere e della sottovalutazione del rischio eretta a sistema, dove la bandiera arcobaleno è rifugio e simbolo del pacifismo acefalo, sta riportando ad un passato che si credeva derubricato. La guerra come scontro fisico, è stata vissuta al massimo come un’esperienza virtuale da videogame, nonostante sia ricorrente  in molte parti del mondo. Per un continente che nel secolo scorso ha combattuto due conflitti spaventosi e maturato la convinzione o la speranza che non ne sarebbero seguiti altri, l’invasione di uno Stato esterno all’Unione, ancorché vicino, è una specie di epifania, un soprassalto della coscienza. Abbiamo assistito alle primavere arabe, le abbiamo sostenute e sappiamo come sono finite; siamo rimasti inerti di fronte alla repressione violenta del popolo siriano da parte di un dittatore sanguinario e privo di scrupoli, tuttora al suo posto di presidente, sotto l’ombrello protettivo di Teheran, e graziato da un’organizzazione imbelle, l’Onu;  siamo stati muti in occasione dei tentativi, falliti prima di iniziare, delle rivoluzioni colorate, rivolte popolari contro gli autocrati di Bielorussia e Kazakistan, come di fronte all’occupazione cinese di Hong Kong, dove solo scendere in piazza è un reato. A parte la Georgia e il Kirghizistan, dove le rivoluzioni hanno conseguito due semi democrazie, l’Ucraina è, de facto, l’unica democrazia tra i paesi dell’ex blocco sovietico. L’assunto che la violenza sia un male assoluto da estirpare, e che discutere, al punto in cui siamo, se le linee rosse che la Nato dovrebbe rispettare per non minacciare la sicurezza russa, sia un tema superato dalla sciagura della guerra, è incontestabile. Eppure, è un tema che ha tutta l’efficacia di un avvertimento che è stato sottostimato, assieme alla volontà manifestata da Putin di ridisegnare l’assetto internazionale. Ricordiamo che la Nato aveva dichiarato di essere pronta ad ascoltare i timori di Mosca. Le avvisaglie di un pericolo incombente sono state ignorate dagli Stati europei, preoccupati  piuttosto ad inseguire le loro idiosincrasie  nell’ansia di preservare una fetta di quella che viene insensatamente definita “sovranità nazionale”.  Una prova inconfutabile della mancanza di compattezza e determinazione dell’Europa, dell’incertezza nel dare risposte unitarie, come è accaduto quando gli Usa hanno chiesto di mostrare la disponibilità a punire la Russia con l’unica arma possibile, quella delle pesanti sanzioni. Gli europei hanno risposto in ordine sparso, con il risultato che alle prime discussioni tra americani e russi, né l’Ucraina né la Ue sono state invitate a partecipare. Il miracolo di trasformare la cosiddetta Unione europea in una vera unione di Stati è riuscito al presidente Zelensky, con il suo potente discorso rivolto al Parlamento europeo. Ma sull’onda delle emozioni non si costruisce nulla di stabile e sicuro, si rischia invece di perdere la necessaria razionalità e finire con il non scegliere. L’occidente ha un grosso problema: la proclamazione di ideali astratti slegati dalla realpolitik. Cos’è disposto a rischiare, l’occidente, per difendere la libertà dell’Ucraina? Può, la Nato, istituire una “no-fly zone” sul paese, come Zelensky ha chiesto? Significherebbe interdire dai cieli ucraini  gli aerei russi ed equivarrebbe a una chiara dichiarazione di guerra a Mosca. Gli Stati Uniti si sono affrettati a prendere le parti del paese assediato, ma Biden non è disposto ad ingaggiare un conflitto con Mosca che coinvolgerebbe più paesi con conseguenze inimmaginabili. Un conto è manifestare nelle piazze il proprio sostegno agli ucraini, inviare armi e mezzi militari, un conto è la partecipazione diretta. Cosa che nel parlamento italiano (la sinistra del Pd) e a piazza San Giovanni (Cgil e Uil) è stata immediatamente recepita: nell’espressione “neutralità attiva”, capolavoro di ambiguità lessicale per non stare né con la Russia né con la Nato. Piango per te e con te ma non chiedermi altro. L’ipocrisia dei soliti. Resta il dubbio che la raffica di pesanti sanzioni che hanno iniziato a colpire l’economia russa e gravare sui cittadini, consolidi l’asse con Pechino, un incubo per gli Stati Uniti e la Ue. La legge universale dice che bisogna dividere i nemici, l’esatto contrario di ciò che potrebbe accadere.

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