Vi fu un’epoca della storia politica modicana, che sarà ricordata come l’epoca dei voltagabbana. Il fenomeno si manifestòall’inizio di questo secolo, prima interessando solo le cronache politiche in maniera sbrigativa e poi,nel tempo,con articoli più sostanziosi che hanno cercato di coglierne i tratti culturali utili a definirne un possibile profilo.
Ai voltagabbana noi abbiamo dedicato molto tempo con articoli su Dialogo, ma il salto di qualità sull’argomento lo segnò il “Gruppo Terzo occhio”,del quale fummo il portavoce, che con due “Fogli di battaglia” (marzo e maggio del 2007), celebrando, in maniera fantastica, sia un Seminario di studi sul voltagabbanismo, sia l’”Associazione modicana voltagabbana” (AMOVO) con un davvero esilarante “Inno del voltagabbana”, nedefinì un esaustivo profilo culturale.
E’ questo un periodo che vuole farsi storicizzare, ecco perché certamente organizzeremo una mostra, con relativa presentazione, in cui saranno esposti i 28 “Fogli di battaglia ‘Terzo Occhio” ed il Manifesto “E’ il comun senza denari perché un branco di somari…”, pubblicati tra luglio 2006 e novembre 2010.
E’ nel giugno del 2012 che con un articolo su Dialogo, “Colloquio con un paracarro modicano”, decidemmo di non interessarci più dell’argomento ritenendo che il voltagabbanismo era divenuto un “reato impossibile” perché i partiti avevano ceduto l’idea politica a dei contenitori intercambiabili: morte dell’Idea, impossibilità di cambiarla.
E’ in questo processo di degradazione che si realizza la omologazione dell’Idea che fu anche definita “La fine della Storia”. Cessa così il grande dibattito sulle “idee che mossero il mondo”, direbbe Pino Rauti ed lo scontro dialettico si spostava su argomenti tecnici; non sul come un’opera pubblica è capace di soddisfare una esigenza della Comunità ma sul come tecnicamente deve essere fatta; non sulla scelta tra un ponte ed una galleria rispetto all’interesse della Popolazione o dell’impatto ambientale;non su una analisi costi benefici in funzione di una gerarchia dei bisogni della Comunità da soddisfare, ma sul come si costruisce una galleria o un ponte pur non capendo nulla né dell’una né dell’altro.
Così un popolo di eletti nelle varie assemblee istituzionali, ed in particolare nei Consigli comunali, privi di idee politiche, diventano provetti giuristi, ingegneri, urbanisti, medici ed anche meccanici di biciclette… direbbe il compianto Ciccio Belgiorno. Così facendo la politica, che era scelta tra soluzioni tecniche accuratamente studiate, progettate da studiosi, staff di progettazione e centri di ricerca, diviene il palcoscenico di presuntuosi che parlano di cose delle quali sono ignoranti, tremendamente ignoranti.
Prende corpo così quella che si può definire la“Sindrome del pappagallo”, ovvero la ripetizione sistematica,da parte di ignoranti,di concetti tecnici prelevati da riviste e giornali o dai vari organi di informazione. Ignoranti, abbiamo scritto, che sono esecrabili non perché ignorano un argomento che non hanno studiato, fatto normalissimo, maperchè cercano di vendere l’immagine di una competenza che non hanno, con la conseguenza naturale di approdare a decisioni mediocri.
Né sono meno pappagalli quei medici, ingegneri ed altre competenze che vorrebbero esibire competenza dall’alto del corrispondente titolo di studio, specie quando all’umiltà sostituiscono il narcisismo (esempio di tati medici attorno al problema Covid) e quando pensano che il loro titolo di studio possa valere i risultati di lunghissime e costose ricerche scientifiche in laboratori di eccellenza, suffragate da prestigiosissime riviste.
Costoro sono gli stessi che non distinguono il Podestà dal Sindaco confondendo la sensibilità politica, sociale ed umana del governare una Comunità con l’amministrare un condominio avente come unità di misura e valutazione i millesimi privi di anima.
E’ nella scia della “Sindrome del pappagallo” che si sta affermando la tecnica, collaterale, del “chiacchiericcio” ovvero del si dice… sembra che… dicono…
Quel discutere privo di sbocchi operativi e di risultati, che ha scelto come luogo di combattimento i social dai quali, con il copia ed incolla pensiamo di trarre gli elementi utili per coglierne un profilo esaustivo.
Vedremo.
Carmelo Modica
4 commenti su “Dal mondo senza idee del Voltagabbana modicano al chiacchiericcio del politico Pappagallo”
Caro Carmelo, credo che molti non parlino molto di voltagabbanismo per evitare il rischio in cui sono incorsi quegli incauti scienziati di Wuhan, che a forza di frugare fra la merda di pipistrelli andati a prendere a mille chilometri di distanza per conseguire il pur lodevole risultato di trovare un vaccino contro l’Aids, hanno finito per infettare se stessi e l’universo mondo. E, sempre come un virus imparziale, il voltagabbanismo riesce a volte a contagiare persino gli altari e i pulpiti dai quali si lanciano le crociate contro di esso (esclusi i presenti, of course).
Nemmeno sotto forma di acqua, che di norma ha quella del contenitore, il voltagabbanismo riesce ad evitare l’inganno di una strategia carsica, che scompare nella terra per riemergere in due distinte polle, una dicesi pura, l’altra inquinata, pur facendo parte della stessa “vena”.
Dialogo è disponibile, quindi, come in passato e avvalendosi di tutti i mezzi disponibili (anche del Chiacchiericcio nel quale trovi poche ma preziose verità), a smascherare i voltagabbana ovunque essi siano, senza stucchevoli ripetizioni e lanci di campagne moralizzatrici perché siamo uomini di mondo, e pure cristiani comprensivi dell’umana debolezza, ben consapevoli che, sempre come un coronavirus, il voltagabbanismo riesce a infettare anche i più cauti e che molti, benché asintomatici, potrebbero risultare positivi a un accurato “tampone sociale”.
Condivido il commento del Direttore di DIALOGO.
Di tanto in tanto Oddo scende in campo, e son frustate.
Anni fa una giornalista per aver dato del “voltagabbana” ad un consigliere MODICANO fu querelata.
Ora fare il ” saltafosso” è diventata una moda.
Io caro Paolo, come ho ha scritto allora e ripetuto qui, non ritengo che si possa parlare più di voltagabbanismo per la banale constatazione che la omologazione delle idee ha, di fatto eliminato la possibilità di cambiarle; ovviamente mi riferisco al livello elettorale e non al livello culturale. Qui, infatti, le idee esistono e più che cambiare possono, nel confronto, produrre solo virtuose maturazioni mantenendo ciascuna la loro essenza originaria. Perché questo processo si realizzi occorre un clima di dialettica culturale della quale se ne avverte fortemente la mancanza.
Poiché ritengo che il miglioramento della dialettica Politica è diretta conseguenza di un ripristino di un sano confronto culturale, ho maturato l’idea che esibire cultura tecnica da parte di non esperti (Sindrome del pappagallo) oppure produrre sterile chiacchiericcio che, chiarisco, non è la costante attività di denuncia che è fondamentale in ogni azione di dialettica politica e di informazione giornalistica, come fa egregiamente DIALOGO, ma quell’attività fatta di ipotesi fantasiose (si dice), non documentate (sembra che sia stata redatta una deliberazione), narcisistiche (io, io, io) che abbondano in particolare nei social.
Un’attività, quest’ultima più disastrosa delle peggiori nefandezze (dimostrate tali) del Potere.