Indiscrezioni dal fortilizio è la raccolta poetica che Sergio Carlacchiani ha dato recentemente alle stampe per le Edizioni RPlibri. Un testo poetico che definirei di “rottura e fuori dal coro” rispetto a tanta produzione poetica del nostro tempo, atteso che l’asse contenutistico e la strutturazione formale e stilistica obbediscono ad un sentire nel quale la vita si manifesta nelle sue spinte fosche, nelle forme di una “bruciante oscurità”, nella fisionomia di una frontiera giornaliera caratterizzata da un “disastro” da affrontare.
Quella di Carlacchiani è una “poesia ininterrotta” di marinettiana memoria, che elimina la punteggiatura, dispone il costrutto poetico così come nasce, nella assoluta libertà, opponendosi pertanto alla sintassi tradizionale e alle regole della metrica; ne nasce una “coscienza poetica in libertà” che fa di lui un “artista totale” che tocca vari tasti dell’arte: la voce, la pittura, la poesia, la narrazione, presentandosi, così, pienamente inserito nella vita sociale della sua terra e imponendosi non solo per i suoi versi ma anche per esperienze e composizioni vocali e teatrali, per doppiaggi e per la realizzazione di opere figurative e, financo, di cura di spettacoli.
La scelta del titolo dato alla silloge, che si avvale anche di un apparato iconografico, contiene in sé la forza propulsiva della sua poesia; il “fortilizio” di Carlacchiani non è certamente un luogo di chiusura, una sorta di torre eburnea dalla quale contemplare il mondo beandosi con se stesso, quanto il “luogo dell’ermeneutica” da dove egli grida interrogativi laceranti, disvela “la follia del mondo” creando azioni e reazioni tra tragico e sublime, prospettive visive e analogie grazie ad una geometria di parole, immagini e affabulanti modi espressionistici con cui si “finge poeta” trascorrendo intere giornate a scrivere:
Passo intere giornate a scrivere
a fingermi poeta facendo scempio
delle parole senza alcun ritegno
quando poi annotta e crolla questo
fragile regno torno al solito ruolo
quello di portavoce della poesia vera
espio una mera pena che m’infliggono
i poeti incazzati laureati di solito risibile
mi sgridano anche i più acclamati conosciuti
quelli che scrivevano in maniera incomprensibile.
(Mi fingo poeta)
Il mondo poetico di Carlacchiani è capace di farci entrare nel grottesco della vita con le sue illusioni, allusioni e indiscrezioni; la stessa strutturazione a piramide di certi componimenti è funzionale alla rappresentazione di ciò che dagli altri è spesso giudicato strano e anormale.
Carlacchiani è, insomma, un autore di originalità chiara, non riconducibile a schematismi o formule letterarie; entrare nei suoi componimenti è come entrare nel caos, nel grottesco, nell’apoteosi dell’assurdo sospeso tra la sua visionarietà e le prestazioni della sua fantasia:
“In questo tempo non ordinario non sono come voi
mangio quando mi ricordo e ahimè io non ricordo.
In questo tempo non ordinario non sono come voi
non posso rimandare i pensieri non posso creare
un domani è all’oggi che devo appartenere e frugare
dentro le coscienze apparenti umiliate obnubilate.
In questo tempo non ordinario non sono come voi
il percorso poetico è un destino la parola data
è l’unica promessa per me non solo lei resterà…”
(Non sono come voi)
Dal suo “fortilizio” e con il suo esilarante estro, l’autore si muove come un acrobata che fa salti mortali per raccontare perché Dio lo ha abbandonato, che cos’è l’amicizia, la speranza, la follia, la sofferenza, l’umiltà, la pietà, la Provvidenza, la giustizia e l’attesa; e lo fa con il ricorso ad una versificazione che opera una rottura nei confronti di una poetica aulica e che invece privilegia un poetare che ama manipolare la parola sui propri sentimenti e sugli stati d’animo, quali “amicizia”, “speranza” , “umiltà”:
“L’amicizia sceglie e si stanzia nell’anima
è una lampadina che non si spegna mai
vicina o lontana non fa gesti eclatanti
quando vuole chiama resiste alla realtà
certo che non è amore quel tipo d’amore
ma passione sentimentale comunque sì
ricordare i pregi? I difetti? I pettegolezzi?
L’amicizia vera dura più d’un matrimonio…”
(L’amicizia)
“La speranza cerco un senso di delicatezza di grazia
un’esplosione luminosa nascosta di vita aurea sublime
che s’insinui dolcemente nell’anima e la blandisca
un miracolo azzurro d’acque limpide e verdi gemme
che chieda alla fonte specchiante pace serena visione
un’aspettativa che brancoli nel buio ma non impauri
prosegua nei tentennamenti nel percorso onnipresente
e percezione vera anelata nella dimora viva della sete
sia per l’oppressa umanità mormorio di beatitudine”.
(La speranza)
“Ho sempre desiderato essere umile non umiliato
mettermi in discussione imparare ad ascoltare
dichiarare una sconfitta senza vergognarmi
l’errore lo considero solo un’opportunità
ci rende più o meno uguali più normali
conquistare con grazia l’umiltà una meta
come avere modesta considerazione di sé
non mi è dovuto niente se non lo merito
seppure lo dovessi meritare guai a me!
(Conquistassimo l’umiltà!)
La rievocazione della contemporaneità si muove, in questa silloge, tra pieghe sociali attraversate da lampi di riso, da scatti di umanità e di pietà, da quel continuo abbandono del poeta al lavoro della fantasia, alla poetica della provocazione e a quella sottile passione per la franchezza, l’ironia e la satira, che sono la costante della visione della sua vita. E così, viene da chiedersi se è poesia quella di Sergio Carlacchiani. Anzi è lui stesso a chiedersi: “potrei essere poeta anch’io?”:
Ci appressiamo alla meta
Come altri poeti scrivo
leggono loro come cani
se scrivessi come cane
potrei essere poeta anch’io?
O no? Ecco non se ne parli più
non è importante sapere se questa sia poesia
quel che seriamente scrivo è vera vita forse mia
fantasia per dimenticare tutto ciò che viene mentito
l’esistenza con lei ha un altro sapore mette appetito
in questo modo tutto scorre via sentito dentro in uscita
la partita è perbene perdere tempo soluzione non segreta
la poesia è sorella madre figlia è la mia famiglia discreta
stiamo vicini aggrappati sereni ci appressiamo alla meta.
(Ci appressiamo alla meta)
I versi di questa raccolta di Carlacchiani ci fanno per un attimo pensare alla poesia “Chi sono? del grande poeta Aldo Palazzeschi, il quale ribaltando l’immagine tradizionale del letterato-poeta, interpreta se stesso come un poeta-giocoliere, un “saltimbanco”: “Chi sono io?/ Il saltimbanco dell’anima mia”, dice Palazzeschi al verso 21; e così opera una demistificazione della tradizione lirica precedente, che, ai sui occhi, si era ormai ridotta ad una ripetizione acritica di tematiche e forme precedenti.
Sergio Carlacchiani abbiamo l’impressione che si muova in questa direzione, prendendo le distanze dal molteplice poetare contemporaneo; egli con i suoi versi si mostra “irriverente”, rifiuta etichette e forse anche quello di poeta, che in molti invece ambiscono mettere in evidenza. Eppure le sue composizioni poetiche non sono astratte, convenzionali né auliche, ma possiedono una forza comunicativa dirompente, una capacità di entrare nell’animo umano e nelle pieghe di una esistenza confusa e smarrita; dentro i suoi versi lunghi e ininterrotti di “poeta irreverente” fluiscono sentimenti, passioni, emozioni, irritazioni, denunce, sogni, dolori, ansie, follia e nostalgia, tutti lemmi che diventano “parole-chiave” dei suoi componimenti.
Sul piano stilistico e formale, riteniamo che dietro ogni composizione c’è l’epifania poliedrica del poeta, del pittore, della voce narrante, dell’attore, che si traduce in realtà in una struttura poetica attentamente studiata e calibrata.
Indiscrezioni dal fortilizio ha una struttura libera e – come dicevamo – canta fuori dal coro; la preminenza del gioco fantastico della parola, la forza istintuale dei sentimenti e l’intento eversivo teso a liberare la parola poetica dalla maglie di formule vuote di forza espressiva, ne fanno una raccolta diversa che scardina, sull’onda di correnti letterarie del ‘900 come quelle futurista e avanguardista, i moduli metrici tradizionali, prediligendo il ritorno a soluzioni sperimentali rispetto alla tradizione poetica:
“Siamo poesia matasse di nuvole da disbrogliare
Anime belle siamo fantasia incontri casuali velati di malinconia
ottime scelte marionette senza fili preghiere diventate musica
conforto che l’esistenza propone nello smarrimento quando
il tempo è sospeso tenuto vivo dalla parola indefinibile salvata
dal manicomiale chiacchiericcio anestetizzante d’un pedante
niente borghese che tutto vuole inghiottire siamo strani ritratti
scontornati dal vento parliamo ai silenzi di tesori chiusi dentro
imperscrutabili solitudini siamo come voli sospesi leggeri sacri
chiamati dalla bellezza al sacrificio di schiudere ostili oscurità
colme di sofferenza che nell’aldilà accompagnano e resistono
con lo sguardo imperturbabile aperto rivolto a un cielo di vita
che sbroglia matasse di nuvole per farne poesia a Dio gradita”.
(Siamo poesia matasse di nuvole da disbrogliare)
Questa raccolta, per concludere, ci sembra rispondere a quanto affermava Valéry nella “Crise dell’esprit” del 1919, ove sosteneva: “L’Amleto europeo osserva milioni di spettri, pensa alla difficoltà, anche al fastidio, di ricominciare il passato, alla follia di volere innovare sempre, e oscilla tra due abissi, perché due pericoli non cessano di minacciare il mondo: l’ordine e il disordine”. E così, i poeti – direbbe Montale – “possono scrivere prose classicamente tradizionali e pseudo versi privi di ogni senso”, oppure scrivere versi per essere urlati in un parco o – come sostiene sempre Montale – “in una piazza davanti ad una folla entusiasta. Ciò avviene soprattutto nei paesi dove vigono regimi autoritari. E simili atleti del vocalismo poetico non sempre sono sprovveduti di talento”(cfr. Eugenio Montale, Edizione speciale UTET, 1977).
Ed è quel talento che esplode in Sergio Carlacchiani, che non è certo arrivato adesso, se è vero che ha attraversato nel tempo sentieri culturali di notevole spessore che lo hanno visto cimentarsi in diversi campi come attore, regista, doppiatore, poeta, performer e pittore, assumendo anche la direzione artistica di varie rassegne teatrali, tra le quali “Donna/Modello”, “Poeti e Poesie da Decl/Amare”, “Live Poetry”, “Vita Vita” e “Poesia in Vita”.
E’ stato, altresì, voce narrante in diversi film, cortometraggi, documentari, e più volte ospite di importanti trasmissioni radiofoniche, oltre a quelle televisive, in Rai ed emittenti regionali e locali, nonché interprete di grandi poeti della letteratura italiana e stranieri, quali Leopardi, Petrarca, Montale, Carducci, Pascoli, D’Annunzio, Pasolini, Garcia Lorca, Pessoa e Neruda.
La sua personalità e abilità artistica starebbero sicuramente strette dentro un canone poetico classico, il che spiega la sua scelta di campo di una versificazione che va oltre le restrizioni formali propri della tradizione poetica classica, che , se spinti all’eccesso, finiscono spesso per riproporre un presente alla maniera del passato producendo solo vuoto e retorico accademismo; forse è presente in Carlacchiani, che conosce bene i grandi classici perché li recita nei teatri, la necessità di innovare operando una “riconciliazione” tra scrittura poetica e storia, e attivando un equilibrato rapporto tra “ordine e senso dell’avventura”. Ad ogni modo nei suoi testi poetici c’è un modo di guardare le cose della vita e la società contemporanea che sembra andare di pari passo con quella coerenza intellettuale che supera ipocrisie e retorica e il cosiddetto “poetese”; da qui la sua rottura e contrapposizione agli schemi prefissati, utilizzando un personale e indipendente repertorio tematico e prosodico, financo nel firmare i sui versi: “sergio e Basta!”.