1 – Professor Pisana, lei è scrittore, poeta, critico letterario, giornalista, docente. Quali di questi ruoli le è più congeniale?
In oltre un trentennio ho sicuramente, come lei dice, svolto un’attività in vari campi della cultura, ma ciò che maggiormente mi affascina e mi è più congeniale è la poesia. Mentre, infatti, sul piano saggistico, critico, giornalistico si può agire se si hanno delle competenze specifiche nonché degli strumenti per poter ricercare, studiare, interpretare testi, senza tuttavia essere un artista, con la poesia il discorso è diverso, perché la poesia è arte, è un portare una cosa dal non essere all’essere direbbe Quasimodo; l’arte , l’artistico è atto di genialità, è produrre, “creare il bello” , e la poesia, che deriva da poiein, è proprio una nuova creazione, è un attingere alla radici dell’autocoscienza, è un farsi pensiero rivoluzionario e dissidente , soggettività critica e creatrice rispetto alla “cosificazione” dell’uomo e all’imperante processo di “de-umanesimo” della società tecnocratica. E’ la poesia. dunque , che mi fa avvertire maggiormente dentro il senso del “creare”, proprio perché essa si esprime in una data terra e in un dato contesto sociale con una parola che è efficace non semplicemente perché suscita emozioni, ma perché si situa nel contesto in cui si esprime come “dabar”, parola ebraica che indica una “creazione”, un disegno che si deve realizzare, indica non una ripetizione, una “imitazione”, ma una “nuova esistenza”, una “nuova umanità”. Con la poesia, insomma, tu apri uno “spazio di domanda”, uno spazio aperto, dove il lettore, come in un’agorà, può entrare e uscire, lasciarsi contaminare o rimanere indifferente .
2 – Come si decide di diventare docente di religione? Un ruolo che ritengo fondamentale e particolarmente difficile in questi nostri travagliati giorni.
La scelta di diventare docente di religione è maturata all’interno di un progetto di vita nel quale la fede cristiana cattolica ha avuto un’ incidenza culturale, formativa ed esperienziale molto incisiva nella mia esistenza di uomo e di credente, tant’è che i miei studi teologici, conclusisi con il Dottorato presso l’Accademia Alfonsiana di Roma, mi hanno aperto la strada all’insegnamento della Teologia negli Istituti di Scienze Religiose e della religione nella scuola, ove svolgo la mia professione docente puntando molto alla funzione educativa. L’insegnamento della religione nella scuola italiana non è infatti catechesi, ma un insegnamento culturale che tende a formare lo studente in tutta le componenti della sua personalità: culturali, sociali, morali e religiose nel quadro delle finalità della scuola.
3 – Quali sono le domande che i giovani si portano dentro e quale è stata la domanda più emozionante fatta da un giovane studente?
Il mondo dei giovani è molto complesso e articolato. Insegno da quarant’anni , e posso dirle che in tutte le generazioni che si sono succedute le domande sono state tantissime, e riguardanti aspetti etici, filosofici, antropologici; in particolare le domande più insistenti hanno riguardato l’esistenza di Dio e il male nel mondo, e la morale sessuale nell’età dell’adolescenza. Nel mio lavoro con i giovani ho sempre tenuto conto di una bella immagine che prendo dal grande Giacomo Leopardi, il quale nello Zibaldone,1817/32 (postumo 1898/1900) affermava: “Il gran torto degli educatori è il volere che ai giovani piaccia quello che piace alla vecchiezza o alla maturità, che la vita giovanile non differisca dalla matura, di voler sopprimere la differenza dei gusti e dei desideri; di volere che gli ammaestramenti, i comandi e la forza della necessità suppliscano all’esperienza”.
C’è qui una grande lezione sull’educazione! Leopardi ci dice quale è l’errore che può compiere un adulto nella relazione educativa: volere gli altri, gli educandi a propria immagine e somiglianza. Se oggi un docente, tanto per fare un esempio, è, a differenza dei giovani, distante dai social, da Facebook, dalla tecnologia e pensa che nel suo processo educativo tutto questo sia inutile, se un educatore vuole, come dice Leopardi, che “la vita giovanile non differisca dalla matura” , minimizzando o addirittura disprezzando “la differenza dei gusti e desideri”, questo è un adulto che deve – diremmo noi oggi – mettersi in discussione, che deve fare una ponderata riflessione per una “ri-comprensione” della propria azione educativa . In fondo quel che io ho messo in campo nel dialogo educativo con i giovani è stato sempre il “mettermi in discussione” sul piano del metodo dialogico, cercando di far loro comprendere il valore della vita e il suo rapporto con la Trascendenza, la fede religiosa e il senso della cittadinanza attiva. E poi, alle fine , ti senti anche gratificato quando tra i ragazzi con i quali hai svolto cinque anni di percorso scolastico, qualcuno ti scrive anche questo: “…Comunque, al di là delle conoscenze che ci ha impartito, quello che più mi resta del Prof. Pisana e delle sue lezioni, è la grande passione che trasmette durante le sue spiegazioni, il suo mettersi quasi “a tu per tu” con i giovani (in senso positivo ovviamente) per metterli più a loro agio, cercando di non far pesare la differenza di ruoli che sussiste; tutto ciò nei limiti del rispetto e dell’educazione. Siamo entrati in questa scuola che eravamo poco più che dei “bambini” e grazie al percorso che abbiamo intrapreso, possiamo affermare di essere cresciuti abbastanza, Antonio Galfo, III Liceo “Istituto Superiore “Galilei .Campailla” – Modica”.
4 – Parlando da critico: qual è il migliore difetto nell’artista di successo?
La poesia contemporanea , grazie ai social e alla rete in genere, si è fatta acustica, visiva e fantasmagorica. Già nel 1975 Eugenio Montale parlava di spettacolarizzazione dell’arte e scriveva che “Le parole schizzano in tutte le direzioni come l’esplosione di una granata, non esiste un vero significato, ma un terremoto verbale con molti epicentri”. In fondo, il poeta contemporaneo si è messo al passo con i tempi utilizzando i media e tutte le tecnologie informatiche per proporre la sua poesia; tuttavia, se per alcuni poeti il mondo virtuale è una modalità sobria, pacata, onesta per comunicare il loro sentire umano, sociale ed interiore, anche per altri, molti conosciuti perché pubblicati dalla grande editoria che conta , noto , e mi permetto di dirlo senza soverchia di giudizio, il cedimento alla tentazione di una spettacolarizzazione e di un esibizionismo, dove la poesia spettacolo appare in tutto il suo limite.
E coloro che alimentano questa dimensione sono spesso anche i grandi gruppi editoriali che riescono a confezionare prodotti poetici per intercettare un target, senza che questi prodotti siano davvero di valore poetico. E questo dispiace molto, scoraggia chi vive la poesia come una missione, chi crede nella poesia come grande risorsa di umanizzazione dell’uomo e della società.
Purtroppo ogni poeta è spesso tentato di affermare che la propria poesia è la migliore; questo è, almeno per me, il maggior difetto, un limite e fattore di debolezza, ma nella sua libertà ognuno può credere quel che vuole. Mi piacciono di più i poeti che sanno stare insieme nella loro diversità e che riescono ad essere in grado di confrontarsi e anche di parlarsi sinceramente e criticamente, per fare sintesi e dichiarazioni di poetica per il loro tempo, ognuno con il proprio stile, modo di sentire, con i propri contenuti e sogni.
5 – “Alla mediocrità chi ci pensa?”, si domandava Carmelo Bene…
Oggi viviamo un tempo dove il sistema non cerca la grandezza, ma la mediocrità. Anche nella poesia può accadere che una persona che è riuscita a farsi un nome e , per caso. si butta anche in poesia, Mondadori lo pubblica per il suo nome in grado di vendere, anche se i versi risultano discutibili. Siccome non voglio apparire un saccente né fare il maestro, le cito questi versi della poesia “Alitalia”, pubblicati nella collana “Lo Specchio” Mondadori, tratti dalla raccolta “Madre d’inverno”, decida lei e lo decidano i lettori quale giudizio dare: “Aiutatemi su, poi chiudevi gli occhi / e mi salutavi come fosse per sempre / sei stata una brava figlia, no sei tu / che sei stata una brava madre, no tu / no sì no congedo gentile, prova / generale del morire. / Ma la mattina dopo con voce squillante / allora con l’Alitalia come va? mi chiedevi, / l’hanno finalmente trovato un accordo?
6 – Che significato dà alla parola “sublime”?
Per me il sublime coincide con la bellezza, con l’amore, con la capacità di farsi dono agli altri senza pretendere un contraccambio, e solo chi è sensibile – direbbe Voltaire – crede nel sublime. Il sublime, inoltre, è per me un riverbero della grandezza d’animo, e in questo riverbero gli altri colgono a volte il vero artista, il poeta, il quale tende con i suoi versi ad aiutare a ricomprendere cosa significa , oggi, essere“ persona”, cosa significa un sentimento d’amore, un gesto di bellezza, cosa è libertà, pace, giustizia, solidarietà, uguaglianza, integrazione, tolleranza, tutti valori che sono, se ci facciamo caso, realtà umane invocate universalmente, specie quando si verificano accadimenti che lasciano sgomenti, atterriti, come quelli di questi giorni, e che conducono l’uomo contemporaneo verso un orizzonte di catastrofe dove tutto sembra essere perduto e senza speranza.
7 – Parliamo del poeta che alberga in lei: come si fa a trovare lo spazio interiore per la poesia?
Le rispondo con le parole di Montale quando in un’intervista di Medeleine Graff-Santschi, pubblicata nel 1965 sulla Gazette de Lusanne, diceva: “Non oserei parlare di mito nella mia poesia, ma c’è il desiderio di interrogare la vita”. Ecco, per me poetare non è descrivere, non è analizzare se pur con sentimento, né raccontare anche se con la poesia il poeta cerca in qualche modo di narrarsi.
La poesia è uno “spazio interiore di domanda” ove il lettore può entrare ed uscire, essere coinvolto o rimanere indifferente, per cui amo la poesia che parte dalla vita, legge la vita e la sublima dentro un “universo metafisico”, non tanto per rispondere ad un “bisogno speculativo” o “lirico-estetico”, ma per aprire una indagine sulla vita alla ricerca di una dimensione veritativa.
Una poesia nel mentre nasce, muore, se non c’è chi la legge, e nel mentre muore risorge, se qualcuno la fa propria. E chi la fa propria è perché coglie in essa un’ispirazione, una folgorazione – oserei dire; come San Paolo sulla via di Damasco, il poeta vive infatti un momento in cui cade dal cavallo grigio della quotidianità e intuisce qualcosa dentro che lo porta a scrivere, a ritirarsi, a dare alla parola la sua forza espressiva per interpretare un sentimento che è suo, ma che diventa collettivo, di tutti e che si fa epifania di una essenza metafisica universale. Personalmente sento la poesia come una dilatazione dell’anima che partorisce una parola che si fa linguaggio; il verbo dilatare è allusivo: potremmo cogliere un’analogia tra la dilatazione dell’utero della madre proprio nel momento in cui dà alla luce un figlio e la dilatazione del sé del poeta che partorisce un testo poetico. C’è in entrambi i casi la sofferenza di un parto: fisico quella della madre, metafisico quello del poeta.
Ecco, è l’ispirazione poetica, allora, a svolgere un ruolo importante nella rivelazione del talento. Ci sono oggi in circolazione tante poesie belle, ben fatte, stilisticamente e formalmente accattivanti e che spesso si affermano, giustamente, nei concorsi, ma si avverte a pelle che c’è una debolezza di ispirazione e che la distanza tra l’esercizio alchemico-letterario, tra la finzione della mente che crea immagini, metafore, suoni, colori e figure retoriche e l’illuminazione che spinge a tradurre in versi stati veri dell’anima pensante, è davvero notevole. L’ispirazione, certo, non è da intendersi come una speciale rivelazione né come uno scrivere di getto quasi sotto dettatura, ma è l’intervento del logos pensante, del sentimento, di uno stato d’animo, che si fanno presenti in modo straordinario al poeta, la cui intelligenza è resa capace di concepire idee, immagini, figure, simboli e di formulare contenuti, particolarmente rilevanti all’interno di una struttura metrica e di un codice lessicale, per l’identità di una comunità civile.
Nell’ispirazione poetica, dunque, interagiscono contemporaneamente tre ordini di facoltà: la concezione dei contenuti, che possono essere intimi, affettivi, sociali, idilliaci, paesaggistici, politici, satirici, memoriali, esistenziali, personali o di respiro collettivo; la volontà di esprimerli in una data forma stilistica e l’atto concreto dell’espressione di questi contenuti.
8 – Prendendo spunto dal libro di Dominique Wolton “Dio è un poeta” a seguito dei suoi incontri con Papa Francesco, lei pensa che Dio sia poeta a prescindere?
Il libro di Wolton quando nel titolo dice che “Dio è un poeta” opera in effetti un sorta di antropomorfismo, nel senso che attribuisce a Dio, rivelatosi in Gesù Cristo, tutte le caratteristiche e i sentimenti dell’uomo. Gli autori biblici, ispirati da Dio, hanno attribuito a Lui tanti aspetti che connotano l’uomo, la persona, ossia l’amore, la misericordia, la fedeltà, la gioia, la tenerezza, il bisogno di verità, il perdono, il dolore, il conflitto, il senso della pace e della giustizia, dell’accoglienza e del rispetto, etc…Se prendiamo, ad esempio, i Salmi della Bibbia, hanno proprio le tonalità della poesia ; in essi ci sono tanti sentimenti, emozioni, affetti, rapporti umani e sociali, insomma la vita di un popolo in un dato tempo e in una data storia. E allora Dio è Dio, non è un poeta, ma poiché ama la Bellezza, crede nell’Amore, sublima la vita a filo d’anima e tutto ciò che essa esprime, in senso lato potremmo anche definirlo un Poeta che si colloca, come fa papa Francesco, nella prospettiva etica dell’incontro e del colloquio, capaci di sconfiggere la solitudine e l’incomunicabilità vera che tutti soffriamo, dentro questa nostra società, in questa nostra Europa, in questo nostro mondo.
9 – Ho visto della sua recente importante esperienza in Turchia, al FeminISTAMBUL 2019, sul tema “La poesia batte la violenza”. Ha partecipato come poeta o come critico? Che sensazioni e ricordi ha stipato nel suo bagaglio?
Il FeminISTAMBUL, ove è stato lanciato il mio libro di saggistica “Pagine critiche di poesia contemporanea. Linguaggi e valori comuni fra diversità culturali”, ha lasciato in me una traccia molto profonda sia come poeta che come critico, e ha accresciuto in me il convincimento secondo cui – come diceva Igino Giordani – “la civiltà è un sistema d’idee: e le idee sono messe in circolazione specialmente dai libri. Ogni società, soprattutto oggi, è, si può dire, quale i suoi libri la fanno”.
E’ stata una bellissima esperienza, grazie ad una organizzazione del Festival impeccabile e una conduzione entusiasmante della Direttrice Hilal Karahan, poetessa e donna di forte sensibilità umana; a Istanbul ho avuto l’opportunità dı discutere di poesia nel nostro tempo, di ascoltare i poeti che sono intervenuti nelle varie giornate, nonché di rafforzare in me l’idea della funzione sociale della poesia, anche nei riguardi della violenza nelle sue varie forme espressive. Se penso, del resto, che grandi poeti del ‘900 come Quasimodo, Rebora e Garcia Lorca hanno caratterizzato il loro percorso poetico come tempo della ricostruzione di un umanesimo ferito dai conflitti bellici con il ricorso ad una funzione “ri-costruttrice” della poesia, mi convinco ancora di più che la poesia contemporanea possa, con la sua funzione sociale, dare un idoneo contributo ad una “renaissance” umana e spirituale capace di fare incontrare “interiorità e realtà”.
In questo FeminISTAMBUL 2019 il linguaggio dei vari poeti intervenuti è stato per me, una modalità di ascolto dell’altro in qualunque parte del mondo esso si trovi, una sorta di servizio, nel senso che ha contribuito a rafforzarmi l’idea che il poeta è un costruttore di bellezza contrastivo della violenza, bellezza testimoniata attraverso il nesso tra etica ed estetica della poesia.
10 – La sua grande conoscenza degli autori stranieri, che idea le dà sull’universalità della poesia? Crede che le tematiche siano le stesse per ogni parte del mondo o ci sono luoghi e paesi in cui prevale un filone civile, romantico o naturalista piuttosto che altri?
Io vedo che in ogni parte del nostro pianeta i poeti scrivono versi legati sempre più al mondo, e i loro versi non si staccano dalla vita nelle sue articolazioni storiche, politiche, sociali, filosofiche, religiose, di idealità, passioni, difficoltà e speranze; del resto sono convinto che la coltivazione della poesia come valore a sé stante o come insieme di dilettazioni poetiche disancorate dalla vita e dal suo sitz im leben resterebbero solo “flatus vocis” destinato a dissolversi.
Mi è davvero difficile pensare ai grandi poeti della letteratura estranei al loro mondo. Il sommo Dante è forse pensabile staccato dalla politica di Firenze, dalle tensioni tra Chiesa e Impero, dai dibatti sociali, culturali e dai fatti della sua epoca? E per non andare lontano, poeti come Eliot ed Auden sono pensabili staccati dalle vicende del loro contesto socio-politico? E’ un caso se la poetica elotiana e di Auden opera una riflessione storica e metastorica sulla sofferenza della condizione umana? E’ un caso se entrambi colgono, per superarlo, il problema del rapporto tra arte e storia? Quando Auden in un suo verso afferma “Che perfino il tremendo martirio deve compiere il suo corso”, non fa proprio un richiamo esplicito alla situazione storico-politica del suo tempo e al problema della tirannide fascista? E ancora, come si fa a pensare i poeti francesi Claudel, Gide e Valéry slegati dalle situazioni sociali e storiche del loro tempo? Dunque, credo che a livello internazionale e mondiale i poeti contemporanei abbiano punti di riferimento nella loro Tradizione letteraria sia a livello di contenuto che di linguaggio e di tecnica stilistico-formale, ma è anche vero che ovunque nel mondo i poeti presentano contenuti, linguaggi e forme che non ignorano i “segni dei tempi” dei loro luoghi, e tengono conto del contesto e dell’uomo al quale la loro parola poetica arriva.
10 più una – C’è qualcosa di particolare che vorrebbe dire a chi leggerà queste righe?
Amate la poesia! Perché la poesia resiste al tempo sia a livello di fruizione che di produzione, e si mostra capace di entrare nel mistero delle cose, nel segreto del “malessere ontologico” che si sta impadronendo di tutti noi; la poesia , al di là del suo valore, se ispirata da intenti onesti, sappiate che mira a guidare uomini e donne di questo nostro tempo alla scoperta della vera autenticità esistenziale.
Sappiate che mi piacciono i “poeti-esteti” che con i loro versi conservano la tradizione poetico-letteraria del passato o la reinterpretano, a loro modo, come atto di contemplazione e di godimento del bello, ma amo molto di più i “poeti–artisti” che creano nuova bellezza, nuovo umanesimo, perché se un poeta è cercato e abitato dalla poesia, è sempre e fortemente “impegnato – direbbe M. McLuhan – a scrivere una minuziosa storia del futuro perché è la sola persona consapevole del presente”. Grazie!
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Bruna Cicala, genovese, è membro del Centro Lunigianese di Studi Danteschi, poetessa e curatrice di numerose prefazioni e pubblicazioni; ha ricevuto segnalazione di merito al Trofeo Monterosi d’argento 2016 e l’inserimento in Ex-libris: per un viaggio in biblioteca.