Eurispes, l’Istituto di Ricerca per gli italiani che è attivo, con studi di caso dal 1982, ha condotto una nuova indagine, “Gioco pubblico e dipendenze nel Lazio”, realizzata con l’aiuto dell’Osservatorio sui Giochi, Legalità e Patologie. Quanto è emerso ha certificato che nel Lazio, terza regione in Italia per spesa media nei giochi, si gioca meno su VLT e New Slot, ma è in aumento il gioco online. Ma il dato più importante è emerso sul distanziometro, che esclude il gioco dal 99% di Roma e mette a rischio il 95% di posti di lavoro.
La domanda da porsi è una: il distanziometro, unito al quadro orario, è uno strumento inefficace? Stando all’Istituto Superiore di Sanità,raccolti da Giochidislots.com all’interno di un’infografica denominata “Type of Players in Italy 2019”, oggi come oggi, giocano circa 18 milioni e mezzo di persone, quasi la metà della popolazione: un 36,4% diviso per il 43,7% in uomini, 29,8% in donne, ed un 26,5% (pari a 13.435.000) di giocatori sociali, con cui si intendono cittadini che giocano sporadicamente per puro divertimento.
Il 4,1% del campione, ovverosia due milioni di residenti, sono considerati a basso rischio. Bassa anche la percentuale di giocatori a moderato rischio, ovvero 2,8%. I giocatori realmente problematici sono stimati intorno al milione e cinquecentomila e costituiscono, del campione, “solo” il 3%, di età compresa tra i 50 e i 64 anni. Si badi bene, si parla di problematici, e non patologici, definizione che assume valore solo dopo una attenta e certificata diagnosi medica. Coloro presi in carico, ovverosia i dipendenti patologicamente certificati che soffrono di gioco compulsivo e sono in qualche modo dipendenti dall’azzardo sono stati, in Italia, circa 13,000, assistiti dai Dipartimenti delle Dipendenze Patologiche dell’ASL. Emerge con tutta chiarezza un gap piuttosto ampio tra il numero dei giocatori considerati problematici ed il numero di giocatori realmente diagnosticati come patologici.
La ricerca ha preso in considerazione anche le rispettive predilezioni su “vicinanza” o “lontananza”, dei punti di gioco da abitazioni e posti di lavoro ed il valore che le due sezioni attribuiscono alla “riservatezza”, comprovando la valutazione che Eurispes ha fornito sullo strumento più contestato degli ultimi anni, il distanziometro. Infatti è emerso che i giocatori problematici giocano eccome, ma in luoghi quanto più lontani da casa. Quelli, cioè, sensibili, ma per loro, capaci di garantire privacy per quote percentuali che, in ambedue i casi, superano il 10%. I giocatori cosiddetti problematici preferiscono quindi riservatezza, lontananza dai luoghi in cui vivono e sono quotidianamente conosciuti.
Quindi, tornando alla domanda di prima, a cosa serve il distanziometro? Si tratta di uno strumento utile? A cosa, se è il giocatore problematico a preferire di dedicarsi all’attività in luoghi lontani che garantiscono privacy e nascondono, in qualche modo, la sua condizione di difficoltà? Tanto rumore per nulla, dal momento che il distanziometro serve ad allontanare luoghi di gioco da luoghi sensibili. E dovrebbe ridurre la voglia di gioco, che invece non si modifica in base allo stesso distanziometro: né per giocatori problematici né per quelli patologici. La sua utilità è forse solo verso quei giocatori sociali, che cioè sfruttano una tantum il gioco come divertimento.