Cerca
Close this search box.

La chiesa di S. Maria dell’Idria a Modica e “‘u marti ri Littria”…..di Giancarlo Poidomani

Un giorno del 1894, un Emanuele Ciaceri fresco di laurea in Lettere presso la Scuola normale superiore di Pisa e destinato a diventare un noto studioso dell’antichità, si trovava insieme a suo zio Vincenzo nella sua casa di Modica Alta. Guardando verso ponente, dove su una collina sorgeva la chiesa di S. Maria dell’Itria, il primo aveva chiesto allo zio qualche notizia sulle origini della stessa.
Da questa sollecitazione Vincenzo si era a sua volta posto una serie di domande: perché la statua della Madonna conservata in quella chiesa e “che nel martedì dopo Pasqua si trasporta divotamente per la città” era rappresentata seduta sopra una cassa e sostenuta da due vecchi?; perché si chiamava così?; perché veniva festeggiata il martedì dopo Pasqua e (in quel tempo) anche in tutti gli altri martedì dell’anno?
La chiesa era l’unica rimasta in piedi delle tante che, anticamente, circondavano la città: la chiesa di S. Maria di Exaudinos (diventata allora casotto del dazio-consumo); quella rupestre di San Giuseppe Timpuni; più giù, nella valle, quelle di Santa Maria della Provvidenza e di S. Rocco; quella di Santa Maria della Purificazione; la chiesa di Santa Maria della Misericordia (“la quale nel 1837 fu quasi riempita di morti di colera”) sotto la costiera dell’Aquila (“nella quale per mezzo di muriccioli è disegnata un’aquila, che viene illuminata nelle feste di San Giorgio”); quella di San Filippo e, più in alto, quella di Santa Maria di Loreto (“nel luogo che servì per lungo tempo di Camposanto”); quella di Santa Maria della Consolazione (ridotta a magazzino); quella di San Marco a levante e quella della Madonna del Monserrato a sud (“consacrata all’infanzia di Maria e convertita in casina di campagna”).
Di tutte queste chiese quella di Santa Maria dell’Itria, alla fine del XIX secolo, era l’unica ancora in funzione. Ogni martedì un cappellano vi celebrava la Santa Messa e ogni martedì dopo Pasqua essa era “solennemente festeggiata da moltissime persone e intere famiglie che dopo visitata la Chiesa e fatte le loro preghiere, si spargono per le amene vicinanze e seduti su qualche masso sporgente e sdraiati sotto qualche albero fanno un’allegra colazione con cibi che hanno seco portato e che sono ordinariamente avanzi di quelli che sogliono prepararsi per le feste di Pasqua, o con altri che comprano sul luogo da venditori ambulanti i quali non mancano con l’occasione di piantar le loro tende ed offrire agli accorrenti la loro merce”.
Indagando, Vincenzo era venuto a conoscenza della leggenda alla base di quel culto: nel 431 dopo Cristo il papa Celestino I aveva convocato un concilio a Efeso per condannare solennemente l’eresia del patriarca Nestorio, che negava alla Madonna la qualità di Madre di Dio. Per ribadire il dogma della Divina Maternità di Maria, l’imperatrice Pulcheria aveva fatto edificare a Costantinopoli tre chiese dedicate alla Madonna quale Madre di Dio e una di queste era stata eretta nella strada principale detta Odegon. Da ciò, la Beata Vergine che si venerava in quella chiesa fu chiamata Odegitria (ma un’altra interpretazione faceva risalire il nome alla parola greca il cui significato era Guida dei Viandanti). In questa chiesa era stato collocato un ritratto della Madonna e il culto era stato affidato ai monaci Basiliani. Poiché il concilio si era tenuto nel martedì dell’ottava di Pentecoste e la decisione relativa alla divinità della maternità di Maria era stata presa un martedì, si era stabilito che la festa solenne in onore della Odegitria si facesse tutti i martedì di Pentecoste e che se ne facesse commemorazione tutti i martedì dell’anno.
Quando però all’inizio dell’VIII secolo l’imperatore Leone III Isaurico aveva deciso di distruggere le sacre immagini (“iconoclastia”), due monaci Basiliani riposero il quadro della Vergine in una cassa e si recarono in Italia. Attraccata la nave a Bari dopo una violenta tempesta, i due religiosi e il loro prezioso carico erano stati accolti festosamente dal clero e dalla popolazione locale che avevano portato la sacra immagine all’interno del Duomo.
Da Bari il culto della Madonna dell’Odegitria si era diffuso in tutta la penisola. Ecco spiegata l’iconografia della cassa e dei due vecchi che rappresentavano i due monaci Basiliani e il fortunoso salvataggio del ritratto della Vergine. In Sicilia, però, la solennità era stata spostata dalla ottava di Pentecoste al martedì dopo la Pasqua che era stato, nel 1282, il giorno seguente a quei Vespri nei quali “La mala signoria che sempre accora/i popoli soggetti/mosse Palermo a gridar: mora, mora”.
Almeno, così raccontava la storia della Madonna dell’Itria e della piccola chiesa sulla collina che da essa prende il nome, lo zio Vincenzo al nipote Emanuele, futuro storico e antichista (al quale è oggi dedicata una scuola di Modica), il 3 maggio del 1894 (Fonte: Archivio privato Ciaceri, Lettera di Vincenzo a Emanuele Ciaceri – Ringrazio Giuseppe Ciaceri e Antonio Guerrieri per la documentazione).

394936
© Riproduzione riservata

I commenti pubblicati dai lettori su www.radiortm.it riflettono esclusivamente le opinioni dei singoli autori e non rappresentano in alcun modo la posizione della redazione. La redazione di radiortm.it non si assume alcuna responsabilità per il contenuto dei commenti e fornirà, eventualmente, ogni dato in suo possesso all’autorità giudiziaria che ne farà ufficialmente richiesta.

5 commenti su “La chiesa di S. Maria dell’Idria a Modica e “‘u marti ri Littria”…..di Giancarlo Poidomani”

  1. @ terrorista :
    Della piccola chiesa rimane la facciata con un piccolo campanile in facciata..senza campana..poco distante la odierna chiesa ?

  2. La storia popolare locale indica nei due monaci ai piedi di Maria due “santi”: “Santu Va” e “Santu Veni”. Riicordo la leggenda secondo la quale un contadino che lavorava “ad anno” lontano dalla città avendo sbagliato il computo della data di Pasqua, arrivò tardi ma festeggiò … ugualmente il Martedì seguente la solennità del Cristo Risorto!

  3. FEDERICO FARAONE

    A proposito del Marti ‘i l’itria (stavolta scrivo Itria in minuscolo) e dei festeggiamenti di cui ci dà descrizione Giancarlo Poidomani, (“cibi che hanno seco portato e che sono ordinariamente avanzi
    di quelli che sogliono prepararsi per le feste di Pasqua “), mi è capitato di riscontrare una parola
    greca: το ίτριον, (to ìtrion) voce di genere neutro che significa “focaccia” e dunque il plurale
    τα ίτρια (ta ìtria) ci parla di focacce ed anche di tortine di miele e sesamo.
    Così riporta Aristofane (Acharnesi, 1092); ed anche Anacreonte nei suoi versi vigorosi;
    Atheneo, sofista epigrammatico, ed altri.
    Curiosamente quindi, la denominazione dei festeggiamenti popolari del martedì dopo Pasqua ed
    in particolare i cibi contemplati nella tradizione (e in parte nella leggenda) sembrano avere singolare riscontro anche in tempi letterari abbondantemente trascorsi.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Articoli correlati

RTM per il cittadino

Hai qualcosa da segnalare? Invia una segnalazione in maniera completamente anonima alla redazione di RTM

UTENTI IN LINEA
Torna in alto